La Corte di cassazione, con sentenza n. 1738 del 15 gennaio 2015, ha annullato il provvedimento con cui il Tribunale di Perugia aveva confermato il sequestro preventivo disposto sui beni dell'amministratore di una Srl, indagato per il reato di cui all'articolo 10-ter del Decreto legislativo n. 74/2000, per non avere, nella sua qualità di legale rappresentante della società, versato nei termini previsti per il pagamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, l'Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale per l'anno 2010, per un importo superiore ai 250mila euro.
Tra i motivi di impugnazione del provvedimento di merito, il ricorrente aveva evidenziato l'impossibilità di procedere a sequestro preventivo per equivalente sia perché il profitto del reato apparteneva al soggetto che aveva evaso l'imposta – di fatto la società – sia perché il Pubblico ministero avrebbe dovuto preliminarmente dimostrare che i beni della società fossero incapienti e/o il profitto non fosse rinvenibile in capo a quest'ultima.
Sul punto, i giudici di Cassazione, pur non riconoscendo condivisibile l'impostazione del ricorrente nella parte in cui il medesimo esigeva un vero e proprio accertamento preliminare da parte del Pm, hanno comunque ritenuto fondata la doglianza del ricorrente.
Secondo la Suprema corte, in particolare, la questione del sequestro diretto, la cui impossibilità costituisce il presupposto del sequestro per equivalente, non era stata considerata dall'organo giudicante nel merito, e ciò non sotto il profilo motivazionale, bensì in punto di diritto, in quanto il medesimo Tribunale aveva negato sostanzialmente che potesse essere disposto alcun sequestro nei confronti della società a cui vantaggio sarebbe stata evasa l'imposta.