La Corte di Cassazione, con sentenza n. 144 del 9 gennaio 2015, si è occupata di un caso di licenziamento intimato ad un lavoratore che continuava a praticare uno sport che aggravava le sue condizioni di salute, nonostante lo stesso fosse stato già assegnato a mansioni ridotte e diverse a quelle da quelle precedentemente svolte, creando un danno dal punto di vista dell’efficienza produttiva ed organizzativa aziendale.
Per la Suprema Corte, l’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore impone che lo stesso si astenga dal porre in essere comportamenti vietati dall’art. 2105 c.c., nonché qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell’impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno (ex multis: Cass. 4.4,2005 n. 6957, Cass. 1.2.2008 n. 2474, Cass. 18.06.2009 n. 14176 e Cass. 16.02.2011 n. 3822).
Conseguentemente, anche se il lavoratore non è in malattia, non può svolgere attività sportiva incompatibile con le sue condizioni fisiche e idonea ad aggravarle, qualora le stesse abbiano già comportato una riduzione della capacità lavorativa.
Nel caso di specie, il comportamento del lavoratore – che ha continuato a praticare lo sport incompatibile - è stato giudicato contrario ai doveri di buona fede e correttezza, nonché gravemente ed irrimediabilmente lesivo del rapporto fiduciario con l'azienda.