Costituisce “credito tributario non spettante”, ai fini di cui all'articolo 10-quater del Decreto legislativo n. 74/2000 sulla indebita compensazione, quel credito che, pur certo nella sua esistenza e nel suo ammontare, per qualsiasi ragione normativa sia ancora non utilizzabile, ovvero non più inutilizzabile, in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l'Erario.
E' sulla scorta di questo assunto che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 3367 del 26 gennaio 2015, ha confermato la decisione con cui i giudici di gravame avevano condannato il legale rappresentante di una Srl, in relazione all'imputazione di indebita compensazione, per avere omesso di versare, relativamente all'anno di imposta 2006, imposte e contributi previdenziali, attraverso la compensazione operata con l'Iva a suo credito che sarebbe stata però esigibile solo l'anno successivo.
In primo grado, l'imputato era stato ritenuto non colpevole sulla base delle considerazioni che, avendo egli portato a compensazione un credito esistente, seppur non ancora compensabile, non vi era stata alcuna lesione per l'Erario; inoltre – sempre a detta del giudice di prime cure - l'illecito era stato realizzato dal consulente fiscale e non dal legale rappresentante.
Statuizioni, queste, ribaltate dalla Corte d'appello secondo la quale, in primo luogo, il contribuente doveva, comunque, rispondere delle eventuali scelte sbagliate del proprio consulente. Inoltre, e soprattutto, il credito non ancora esigibile rientrava nel genere dei crediti non spettanti, per cui il reato contestato era da ritenersi integrato.