In caso di licenziamento collettivo con chiusura di un’unità produttiva, il datore di lavoro è tenuto ad indicare sia le ragioni per cui intende limitare i licenziamenti ai dipendenti dell’unità in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviare ad alcuni licenziamenti con il trasferimento dei lavoratori ad unità produttive geograficamente vicine a quella soppressa o ridotta.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione che, con sentenza n. 4678 del 9 marzo 2015, ha enunciato il seguente principio di diritto:
“In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, le esigenze tecnico-produttive e organizzative previste dall’art. 5, primo comma, Legge n. 223/1991, in riferimento al complesso aziendale, determinano l'ambito di selezione del personale eccedente e possono costituire criterio esclusivo e determinante di riferimento nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, anche addetti ad una sola unità produttiva: così, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva dell’azienda, purché il datore di lavoro indichi nella comunicazione ex art. 4, terzo comma, Legge n. 223/1991 (che così assolva alla sua funzione autenticamente informativa) sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviare ad alcuni licenziamenti con il trasferimento ad unità produttive geograficamente vicine a quella soppressa o ridotta, in modo da consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Qualora invece il datore di lavoro faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione alle unità produttive che intende sopprimere, i licenziamenti intimati a tutti i loro dipendenti sono illegittimi per violazione della specifica indicazione delle esigenze tecnico-produttive e organizzative nella comunicazione”.