Prima pronuncia della Cassazione, con la sentenza n. 9974/2015, sul raddoppio dei termini di decadenza.
La sentenza richiama puntualmente quanto affermato dalla Consulta nella pronuncia n. 247/2011.
Tra le doglianze del contribuente quella che l’Agenzia delle Entrate non avrebbe dovuto avvalersi della norma sul raddoppio dei termini di decadenza dell’accertamento poiché la sua posizione era stata archiviata dal giudice penale.
In primis, la Corte ribadisce il regime del doppio binario tra giudizio penale e processo tributario del nostro ordinamento.
Pertanto, l'archiviazione della denuncia presentata dalla GdF - come l’assoluzione e il non luogo a procedere - non è d’impedimento all’applicazione del raddoppio.
Quanto ai confini della norma, la Corte spiega che, sebbene l’archiviazione penale non rileva sul raddoppio dei termini di decadenza, resta fermo che il giudice tributario ha l'obbligo di impedire che ci sia da parte dell'Ufficio un utilizzo distorto dello strumento.
Una distorsione è rappresentata, come nel caso di specie, dalla comunicazione al pm di notizie di reato manifestamente infondate al solo fine di beneficiare del più ampio termine. Nella sentenza 247/2011 della Consulta, è chiarito che il pubblico ufficiale deve inoltrare la denuncia prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 cod. pen. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia. Tuttavia, l'obbligo di denuncia sorge quando sia possibile individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare, non essendo sufficiente il generico sospetto di un'eventuale attività illecita.
In tali circostanze, ossia in ipotesi di denuncia palesemente pretestuosa, se non addirittura calunniose, rivelatrici di un uso distorto dell’istituto, il giudice di merito deve opporsi all’applicazione del raddoppio del termine di decadenza dell'accertamento.