Con sentenza n. 10319 del 20 maggio 2015, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso promosso dall'agenzia delle Entrate contro una sentenza della Ctr della Lombardia con cui era stato confermato l'annullamento di un avviso di accertamento, ai fini Iva, Irpeg e Irap emesso nei confronti di una società.
L'avviso in esame, in particolare, aveva negato alla società contribuente la deducibilità di alcuni costi relativi al contratto di somministrazione in atto fra quest'ultima, come società controllata, e la società controllante, in quanto considerati inerenti all'attività della seconda e, quindi, estranei all'attività aziendale ed al contesto della contribuente medesima.
Nel confermare la statuizione dei giudici regionali, la Suprema corte ha evidenziato come, pur rientrando nei poteri dell'amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano le irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti, un sindacato di tale genere non sembra possa spingersi - come per contro aveva dedotto l'agenzia delle Entrate nel suo atto di impugnazione - sino alla verifica oggettiva circa la necessità o l'opportunità dei costi rispetto all'oggetto dell'attività.
Diversamente opinando, infatti, il controllo attingerebbe a valutazioni di strategia commerciale che sono invece riservate all'imprenditore.
Nella medesima decisione, la Corte di legittimità ha, altresì, ricordato come, in materia di imposte sui redditi, affinché un costo sostenuto sia fiscalmente deducibile dal reddito d'impresa, non è necessario che esso sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all'impresa in quanto tale, sia stato sostenuto, ossia, al fine di svolgere una attività potenzialmente idonea a produrre utili.