Con sentenza n. 39187 depositata il 28 settembre 2015, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un soggetto indagato per il reato di cui all'art. 11 D.Lgs. 74/2000, cui erano stati sequestrati alcuni beni mobili ed immobili, sino alla concorrenza del debito tributario.
L'indagato qui ricorrente, in particolare, si opponeva al provvedimento di conferma del sequestro del Tribunale del riesame, in quanto – rilevava – in seguito all'esecuzione della misura erano intervenute alcune pronunce della Commissione tributaria che avevano annullato gli avvisi di accertamento dell'Agenzia delle entrate (presupposti al reato contestato). L'Ufficio aveva dunque provveduto allo sgravio di tutti gli importi di cui agli avvisi in questione ed il concessionario aveva rilasciato formale attestazione di inesistenza di debiti tributari.
Alla luce di ciò, il ricorrente lamentava l'inesistenza dei presupposti legittimanti la persistenza della misura e chiedeva dunque il dissequestro dei propri beni.
La Cassazione, dal canto suo, ha ritenute del tutto pertinenti le censure della difesa, non avendo il giudice della cautela adeguatamente valutato il venir meno del rapporto tra il sequestro e l'annullamento degli atti di accertamento da parte della Ctr.
Ora – ha precisato la Suprema Corte – è pur vero che in tema di reati tributari il profitto del reato oggetto del sequestro preventivo e funzionale alla confisca per equivalente - costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale - rimane inalterato anche in ipotesi di sospensione della esecutività delle cartelle esattoriali. Ma è altrettanto vero - precisa ancora la Corte - che nella fattispecie non si discute di sospensione, bensì di annullamento. Annullamento e sgravio delle relative somme di cui all'accertamento, che rendono "allo stato" privo di qualsiasi giustificazione il mantenimento del sequestro, attesa l'assenza di qualsivoglia attuale pretesa erariale.