Che impatto ha la riforma dell’abuso di diritto (D.Lgs. 128/2015) sulle frequenti “riqualificazioni contrattuali” effettuate dall’Agenzia delle entrate in sede di liquidazione delle imposte indirette? La risposta è di fondamentale importanza per poter programmare con un minimo di certezza operazioni di natura patrimoniale che coinvolgono imprese o anche soggetti privati. I primi approdi giurisprudenziali in materia, in particolare della Cassazione, non sembrano fornire adeguati riferimenti. Con la sentenza 25005 depositata l’11 dicembre scorso, la Suprema corte ha affermato i seguenti principi: l’articolo 20, Tur sarebbe «retto da presupposti applicativi diversi e del tutto slegati da quello della realizzazione o meno di un indebito vantaggio fiscale»; la sua applicazione, altresì, prescinderebbe completamente dall’esistenza di una apprezzabile causa economica che sorregga l’atto stipulato o il collegamento negoziale tra più atti posti in essere. Da cui sembrerebbe trarsi la seguente conclusione: l’interpretazione degli atti - generalmente di una pluralità di atti - nell’ambito delle imposte di registro e ipocatastali è del tutto “impermeabile” alla rinnovata disciplina dell’abuso di diritto, con la conseguenza che l’articolo 20. Tur e l’articolo 10-bis dello Statuto, al di là della decorrenza di quest’ultimo, verrebbero reciprocamente a ignorarsi. Ma ci sono alcuni punti fermi che sembrano andare in una direzione opposta: è fuori discussione che il nuovo articolo 10-bis si applichi anche alle imposte indirette. Un altro elemento certo è che la riforma, avendo unificato i concetti di abuso ed elusione (si veda la rubrica stessa dell’articolo 10-bis) non lasci più alcuno spazio a norme con valenza generale antielusiva, restando in vita solo quelle disposizioni specificamente volte a evitare abusi su singole fattispecie concrete (si pensi al riporto delle perdite nelle fusioni o scissioni, ai conferimenti a catena nell’Ace, e così via), di natura ben differente da quella che si vorrebbe attribuire all’articolo 20 del Tur. Da questi ragionamenti si possono trarre alcune conclusioni: se all’articolo 20, Tur si continua a riconoscere quella amplissima funzione antielusiva emersa prepotentemente nella giurisprudenza degli ultimi 15 anni, allora il nuovo articolo 10-bis dello Statuto non può che aver implicitamente abrogato tale disposizione, in quanto norma più recente volta a disciplinare anche tale fattispecie; diversamente, occorre individuare un ambito di sopravvivenza dell’articolo 20 che possa giustificarne la mancata abrogazione da parte del D.Lgs. 128/2015, ripristinando il suo utilizzo come norma di interpretazione intrinseca del (singolo) atto sottoposto a registrazione.