Se solo qualche anno fa il trasferimento della sede di una società da uno Stato ad altro Stato era una evenienza assai rara, attualmente, invece, è un caso che si presenta con una certa frequenza, per svariate ragioni. Si tratta di un ambito che manca di regole chiare e di prassi consolidate. Ad aiutare gli operatori professionali in questa complicata materia giunge uno studio del Consiglio Nazionale del Notariato (n. 283-2015/I) che permette di fare chiarezza su numerosi aspetti controversi. Per trasferire la sede di una società dall’Italia all’estero occorrono due pre-condizioni: che la legge italiana consenta l’adozione di questa decisione e che lo Stato di atterraggio accetti di recepire un trasferimento di sede di una società straniera (italiana, nella fattispecie). Sul tema del “decollo” dall’Italia, nessun problema, poiché la nostra legislazione non pone limiti (e, anzi, detta regole, come quelle di cui agli articoli 2369, comma 5, 2437 e 2473 cod. civ.) al trasferimento all’estero della sede di una società “tricolore”.
Se la legislazione dello Stato di “decollo” non impedisce che una società possa trasferire la propria sede all’estero (e quindi anche in Italia), la legge italiana, dal canto suo, non impedisce questo trasferimento (articolo 25, comma 3, L. 218/1995). Tuttavia, la legge italiana pretende, come condizione per l’“atterraggio”, che la società straniera si rivesta di una delle forme giuridiche vigenti nel nostro ordinamento (articolo 25, comma 1, L. 218/1995). Non è dunque consentito il trasferimento in Italia di una società straniera se questa voglia mantenersi regolata dalla legge vigente nel Paese ove essa è stata costituita.