Il tentativo di ristrutturazione delle posizioni debitorie dell’impresa in crisi si scontra spesso con la estrema complessità delle negoziazioni da instaurare tra il debitore e le banche (e gli intermediari finanziari in generale, quali le società di leasing e di factoring, eccetera). Il Legislatore ha dunque inteso dare un contributo alla soluzione di queste tematiche, con la finalità di accelerare i tempi della negoziazione e di facilitare il raggiungimento di un consenso vincolante per l’intero ceto bancario, integrando la disciplina “generale” dell’istituto degli accordi di ristrutturazione del debito (disciplinata dall’articolo 182-bis, L.F.) ogniqualvolta l’esposizione dell’imprenditore verso banche e intermediari finanziari sia almeno pari al 50% del suo indebitamento complessivo. In questa situazione viene dunque prescritto (articolo 182-septies, L.F.) che l’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari sia dotato della straordinaria capacità, sebbene non possa essere assimilato a una procedura concorsuale, di produrre l’estensione dei suoi effetti anche alle banche che non vi vogliano aderire o che esprimano un manifesto dissenso rispetto all’accordo stesso. Le banche non aderenti possono quindi essere “forzate” a concedere dilazioni di pagamento dei debiti esistenti, rimodulazioni dei piani di rimborso, stralci di parte dei loro crediti. Non possono invece essere imposte la concessione di nuovi affidamenti, l’erogazione di nuovi finanziamenti o la concessione al debitore di continuare a utilizzare le linee di credito esistenti.