I fatti, per trovare allocazione in bilancio, devono essere «raccontati» in unità monetarie e dunque valutati. Ne deriva che rilevanti falsità nelle valutazioni, idonee a ingannare i destinatari del bilancio e a determinare scelte potenzialmente pregiudizievoli per gli stessi, configurano situazioni rilevanti ai fini dei novellati articoli 2621, 2621-bis e 2622, cod. civ.. Spetta al giudice valutare la potenzialità ingannevole della irregolare informazione contenuta nel bilancio. Qualora si accettasse la tesi della non punibilità del falso valutativo si sarebbe in pratica al cospetto di una interpretatio abrogans del delitto di false comunicazioni sociali e sostanzialmente l’intero corpus normativo, «Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio», finirebbe per presentare una significativa falla nella sua trama costitutiva. È quanto si legge nelle attesissime motivazioni espresse dalle sezioni unite della Cassazione, con sentenza n. 22474 di ieri, 27 maggio, in merito alla rilevanza del falso valutativo nei reati di false comunicazioni sociali così come novellati dalla L. 69/2015. La massima provvisoria della sentenza era peraltro stata anticipata dalla Suprema corte con l’informazione provvisoria del 31 marzo 2016.