Stop (retroattivo) agli accertamenti sulle plusvalenze da cessione di immobili e aziende, quando sono fondati solamente sulla presunzione che il valore accertato ai fini dell’imposta di registro corrisponda all’importo incassato dal venditore. A definire come «non più sostenibile» questa presunzione (finora prevalente nella giurisprudenza della Suprema corte) è la stessa Corte di Cassazione, con le due pronunce 6135 del 30 marzo e 7488 del 15 aprile. Il cambio di direzione si deve all’entrata in vigore dell’articolo 5, comma 3, D.Lgs, 147/2015 (decreto internazionalizzazione). La natura interpretativa della disposizione (evidenziata anche dalla relazione di accompagnamento) è stata affermata anche dalle due pronunce della Suprema corte, che hanno applicato la disposizione del D.Lgs. 147 a due accertamenti notificati una decina di anni fa. Il cambio di rotta della Cassazione (indotto dal Legislatore) ha come conseguenza che in tutti i procedimenti pendenti acquisirà rilevanza la motivazione addotta dagli uffici per fondare la pretesa di tassare un maggior corrispettivo.