La rivalutazione delle aree e delle partecipazioni non quotate per i soggetti non imprenditori non ammette ri-pensamenti e, se si stringe il “patto” con il Fisco sottostante all’opzione, poi occorre accettarne le conseguenze, nel bene e nel male. È quanto ribadisce la Corte di cassazione con la sentenza n. 13406/2016, depositata lo scorso 30 giugno, riprendendo concetti già emersi in alcune pronunce degli ultimi anni e che, consolidandosi, non possono non influenzare le scelte di chi si è avvalso, nel tempo, della procedura di affrancamento di valore, da ultimo entro il 30 giugno scorso (articolo 1, commi 887 e 888, L 208/2015). La Suprema corte ha ribadito che l’affrancamento di valore costituisce un’opzione non revocabile per scelta unilaterale del contraente, essendosi perfezionata con il pagamento dell’imposta sostitutiva anche solo della prima rata. Dunque, se il defunto ha avviato l’affrancamento gli eredi non possono chiedere il rimborso dell’imposta e sono tenuti a versare le rate mancanti