Nell’ambito dei rapporti di lavoro, l’animata discussione anche con termini sprezzanti ed offensivi fra il lavoratore e il proprio superiore non è da considerarsi così grave da meritare la sanzione espulsiva: non si è, infatti, realizzato né un inadempimento tale da compromettere la fiducia del datore di lavoro né un’insubordinazione. A chiarirlo è la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 1315, depositata il 19 gennaio 2017.
A seguito di un’animata discussione, il datore di lavoro ravvisava che il proprio dipendente avesse tenuto un comportamento con toni sprezzanti ed offensivi e, ritenendo sussistente la giusta causa, lo licenziava. Il lavoratore ricorreva al Tribunale e, in atti, entrambe le parti a sostegno delle rispettive tesi difensive, producevano alcune testimonianze ed in particolare l’impresa produceva scritture redatte da alcuni testimoni con le quali venivano confermati i fatti accaduti.
La S.C. analizza, anzitutto, le prove assunte fin dal primo grado, al fine di valutare se le stesse fossero state adeguatamente considerate dal giudice territoriale per il proprio convincimento.
In particolare, la Corte di appello aveva dettagliatamente esaminato le condotte del dipendente anche alla luce delle testimonianze rilasciate da alcuni soggetti presenti il giorno della discussione; dal quadro complessivo degli elementi istruttori, secondo il giudice di merito, non emergevano prove che consentivano di ritenere provati i toni offensivi ritenuti lesivi del rapporto fiduciario. Risultava, anzi, che i dipendenti presenti all’accaduto ritenevano la reazione del lavoratore discendente da un rimprovero “eccessivo” del datore di lavoro, con la conseguenza quindi che non sussisteva la gravità tale per giustificare il licenziamento.
La motivazione riportata nella sentenza era ben motivata e supportata da un’attenta analisi delle prove in atti, con la conseguenza che la Suprema Corte non ha rinvenuto alcun difetto.
La S.C. inoltre si conforma in questa sentenza ad una recente interpretazione delle Sezione Unite (Cass. S.U. n. 8053/14) sulla sensibile restrizione del controllo in sede di legittimità delle motivazioni di fatto, essendo pertanto ritenuto ammissibile il ricorso per Cassazione solo se il Giudice di merito abbia emesso una sentenza non motivandola, ovvero le cui conclusioni risultino manifestatamente illogiche e contraddittorie, circostanza che - nel caso in esame - non ricorreva.