Nella cessione di ramo d’azienda i lavoratori e i beni materiali devono preesistere inscindibilmente come struttura unica e materiale. Il principio è stato di recente ribadito dalla Cassazione con la sentenza n. 1316 del 19 gennaio 2017 .
Nei fatti una società di telecomunicazioni aveva ceduto l’attività di call center ad un’altra azienda, sottoscrivendo contestualmente un contratto di fornitura del servizio di assistenza clienti per la propria clientela corporate non top e consumer. Il ricorso dei lavoratori contro la cessione è stato respinto sia in primo grado sia in appello. Così gli ex dipendenti si sono rivolti alla Cassazione chiedendo l’illegittimità della cessione del ramo aziendale perché il contratto non prevedeva il trasferimento anche dei servizi complementari ma necessari all’autonomia del ramo, come l’assistenza per i “clienti Top”.
Inoltre, nella cessione non erano ricompresi i sistemi applicativi e informatici (i database e i programmi) indispensabili per la corretta gestione del servizio.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e ha affermato che non si può parlare di trasferimento di ramo d’azienda ai sensi dell’articolo 2112 del Codice civile se unitamente ai lavoratori non si trasferiscono anche i beni materiali essenziali per lo svolgimento.
In sostanza, l’autonomia funzionale del ramo di azienda ceduto deve essere obiettivamente apprezzabile già prima dello scorporo dal complesso cedente, tale da provvedere allo scopo produttivo con i propri mezzi, indipendentemente dalla volontà delle parti contraenti.
Del resto, si legge nella sentenza, l’autonomia e l’autosufficienza del ramo, secondo quanto affermato dalla direttiva europea 2011/23, è necessaria per escludere che il cedente crei delle strutture fittizie. Infatti, la Corte condanna anche le cessioni di rami di azienda in strutture produttive create ad hoc.
La lettura data dalla Cassazione in quest’ultima sentenza è del resto in linea con quanto affermato nella sentenza 21917 del 25 settembre 2013 : in questo caso un gruppo di 15 lavoratori era stato trasferito da una società di capitali ad un’altra attraverso un contratto di cessione di ramo d'azienda ritenuto, secondo l’interpretazione dei magistrati, fittizio poiché configurante un insieme di funzioni eterogenee; funzioni – ha precisato l’estensore – per le quali erano utilizzati beni aziendali limitati ed eterogenei, privi di specificità rispetto ad un fine produttivo, in cui erano impiegati un gruppo di addetti senza alcuna connotazione professionale comune caratterizzante (Cassazione 23357/2013 ).
Di conseguenza, l’operazione posta in essere dalle due società risultava illegittima in quanto finalizzata alla riduzione dell’organico dell’azienda cedente.
L’effettiva preesistenza della compagine societaria è stata anche al centro della sentenza 21710/2012 in cui la Cassazione ha dichiarato l’illegittimità del trasferimento del dipendente, mascherato da cessione di ramo di azienda, in una struttura produttiva creata in occasione del passaggio del lavoratore. Del resto, si legge nella pronuncia, il datore di lavoro non era stato in grado di provare l’autonomia funzionale del reparto logistico oggetto di trasferimento, poiché in realtà non vi era stata alcuna alienazione di beni materiali o immateriali.
Nel caso di cessione di un ramo “leggero” o “dematerializzato” la giurisprudenza ritiene possibile la cessione solo quando il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know how e cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio (Cassazione, sentenza 17366/2016 ).
In definitiva, se le aziende non vogliono incorrere in contenziosi giudiziari per ipotesi di illegittima cessione del ramo aziendale dovranno seguire alcune indicazioni generali:
- è necessario che sussista il requisito dell’autonomia funzionale del ramo sia prima che dopo il trasferimento;
- non bisogna “sopravvalutare” gli effetti della sottoscrizione di un contratto di appalto per l’integrazione del servizio, che secondo i giudici non è sufficiente a sopperire alla mancanza di autonomia funzionale;
- anche nel caso di cessione dei soli lavoratori e, quindi, in assenza di trasferimento di beni materiali, i lavoratori coinvolti devono risultare un gruppo coeso di professionalità, dotati di specifico know how, tale da individuarsi come una struttura unitaria funzionalmente idonea e non come una mera sommatoria i dipendenti.