La Corte di Cassazione con la sentenza n. 6683/2017 fornisce alcuni chiarimenti e spunti per esaminare i vari adempimenti e i diritti del professionista in caso di controlli fiscali.
I verificatori delle Entrate o della Guardia di Finanza che eseguono l’accesso devono essere muniti di specifica autorizzazione; in caso di accesso a locali destinati all’esercizio di arti e professioni, rispetto alle attività commerciali e industriali, è richiesta la presenza del titolare dello studio o di un suo delegato.
Serve l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica se i locali sono adibiti ad uso promiscuo; tale autorizzazione è di semplice carattere amministrativo. Per accedere in luoghi privati invece sono necessarie specifiche condizioni. In queste ipotesi l’autorizzazione della Procura, rispetto al caso precedente, può essere richiesta solo in presenza di gravi indizi di violazioni alle norme tributarie. Tali indizi devono essere esplicitati nella richiesta che i verificatori avanzano al magistrato. Quest’ultimo, se li ritiene sussistenti, concede l’autorizzazione all’accesso. L’inosservanza di queste prescrizioni comporta per giurisprudenza di legittimità ormai consolidata l’inutilizzabilità degli atti compiuti e quindi la nullità del successivo avviso di accertamento. Nel corso del controllo i verificatori possono copiare ed accedere al contenuto del pc senza necessità di una specifica autorizzazione, trattandosi di beni presenti nella sede aziendale e liberamente accessibili. Non è necessaria alcuna autorizzazione. È necessaria l’autorizzazione della Procura per l’apertura coattiva di borse, plichi, mobili e simili. In sostanza si verifica quando il contribuente si oppone all’apertura ovvero contesti in qualche modo tale attività. Stante l’assimilazione alla posta cartacea, l’apertura di email non lette da parte dei verificatori comporta l’autorizzazione della Procura. Le email aperte, invece, secondo la GdF (circolare n. 1/2008) sono liberamente accessibili ai verificatori