Se il posto di lavoro viene soppresso per giustificate ragioni organizzative, il dipendente che presta assistenza a un familiare disabile, godendo dei benefici previsti dalla legge 104/1992, non può opporsi al trasferimento. Così ha deciso la Corte di cassazione, con la sentenza 12729/2017 .
Una lavoratrice, con qualifica di capo tecnico radiologo, ha adito il tribunale per ottenere la declaratoria di illegittimità del provvedimento aziendale con il quale è stata trasferita dal poliambulatorio presso il quale lavorava a un presidio posto a circa 5 chilometri di distanza.
L’azienda ha sostenuto la legittimità del provvedimento, sia perché conforme alla disciplina del Ccnl del settore sanità, sia perché motivato dalla avvenuta chiusura del servizio di radiologia nel poliambulatorio presso il quale lavorava la dipendente.
Di fronte alla circostanza mai smentita dell’avvenuta chiusura del servizio di radiologia nella sede di provenienza, e della vacanza del posto di capo tecnico presso il presidio cui è stata destinata, a nulla sono valse le censure, considerate del tutto generiche, sollevate dalla lavoratrice, che ha lamentato l’omessa considerazione del disagio che lo spostamento le comportava in ragione della sua situazione personale e familiare, nonché la conseguente mortificazione della sua professionalità.
La Cassazione, nel rigettare il ricorso e nel confermare l’esito dei due precedenti gradi di giudizio, ha considerato infondate o intempestive tutte le censure mosse dalla lavoratrice, inclusa la doglianza volta a censurare il trasferimento come atto di ritorsione per il rifiuto di profferte sessuali, basata su una sentenza penale, intervenuta nelle more del giudizio di appello, ai danni del superiore gerarchico autore del trasferimento impugnato.
La Suprema corte, richiamando un orientamento che risale alla pronuncia 25379/2012, ha statuito che «la disposizione dell’articolo 33, comma 5, della legge 104/92 , laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati in funzione della tutela della persona disabile, sicché il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che assiste, non si configuri come grave».
Ciò è vero, però, a condizione che il datore di lavoro, cui spetta l’onere della prova, non dimostri «la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte».