La qualifica di lavoro subordinato, è propria anche di un rapporto che si svolge all’esterno dell’attività di impresa; infatti, a tal fine, il nome che le parti hanno di comune accordo attribuito allo stesso, non è vincolante, è necessario valutare gli elementi fattuali che lo caratterizzano. Ne deriva che, l’interruzione del rapporto, deve essere preceduta dal contraddittorio tra le parti, effettivo e non fittizio.
Un ente, operante nel settore lattiero caseario, decideva di interrompere il rapporto di lavoro con un dipendente, un autotrasportatore addetto alla consegna dei prodotti della società, recedendo dal contratto; l’interruzione avveniva in assenza di contraddittorio, poiché il rapporto era qualificato come autonomo.
Il lavoratore impugnava l’interruzione, chiedendo al tribunale di accertare sia la natura del rapporto, sia l’illegittimità del recesso avvenuto in violazione dell’art 7, comma 3 della legge 300/1970. La richiesta era respinta, ma non veniva confermata in secondo grado. Infatti i giudici di appello ritenevano subordinata la natura, alla luce di elementi caratteristici del rapporto. Inoltre, dichiaravano la nullità del licenziamento intimato attraverso delle lettere di recesso. La società ricorreva quindi in Cassazione.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 17160, depositata il 12 luglio 2017, ha rigettato il ricorso presentato dalla società.
In particolare, i giudici di legittimità chiariscono che la natura subordinata del rapporto, può essere desunta dal nome che le parti hanno attribuito al rapporto, ma non è tutto. Infatti, occorre far riferimento agli elementi che in concreto lo caratterizzano. Ad esempio, prosegue la Corte, si tratta del ridotto margine di autonomia del lavoratore, della soggezione al controllo, alla vigilanza e al potere direttivo del datore di lavoro; del vincolo degli orari lavorativi; della sottoposizione al controllo della prestazione da parte dell’ispettore commerciale. In ultimo lo svolgimento delle prestazioni al di fuori della sede aziendale, come nel caso dell’autotrasportare, se avviene in presenza di orari e destinatari delle consegne già prefissati.
In virtù di questo ne deriva l’illegittimità del licenziamento. Infatti secondo la Corte, il mero invio di lettere di contestazione con le quali si richiedevano delle giustificazioni, senza concedere un termine per una concreta difesa, non integra un’ipotesi di contraddittorio.