In tema di infortuni sui lavoro, quando il danno di cui si chiede il risarcimento è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta abbia contribuito alla produzione dell’evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell’art. 1294 c.c. fra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno di essi è chiamato a rispondere. Ciò dal momento che, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se un unico evento dannoso è eziologicamente ricollegabile a più persone, è sufficiente, ai fini della responsabilità solidale, che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni da risarcire, patrimoniali e non.
E’ quanto affermato dalla la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, confermando il concorso di colpa (assieme al datore di lavoro) a carico dell’allora caposquadra “di fatto”, in ordine all’infortunio mortale accaduto all’apprendista affidato alla sua guida, sorveglianza e formazione, mentre stava effettuando l’allacciamento di un impianto telefonico.
Nella specie, i giudici di merito hanno accertato una serie di circostanze in detta sede incensurabili – affidamento dell’apprendista minorenne al caposquadra esperto di posa in opera di cavi telefonici, con conseguenti obblighi di guida, sorveglianza e formazione, nonché di adozione di accorgimenti in tema di sicurezza; situazione di indubbio pericolo costituita dal dover operare ad una certa altezza dal suolo ed in prossimità di cavi di energia elettrica di media tensione ecc. – per cui non è dato escludere il nesso causale tra la condotta ascritta all'operaio caposquadra e l’infortunio occorso all'apprendista, folgorato da una scarica elettrica. Corresponsabilità in ordine all'accaduto riconosciuta sia in base alla presunzione di cui all'art. 2048 c.c. sia in base all'art. 2050 c.c., stante cioè l'esercizio di attività indubbiamente pericolosa, per cui non è stata fornita alcuna prova liberatoria.
Quanto infine alla possibilità di ipotizzare la figura del caposquadra fatto – conclude la Corte con sentenza n. 19435 del 3 agosto 2017 – sebbene questa figura non sia prevista espressamente dalla legge, la responsabilità del c.d. preposto di fatto non compete solo a soggetti forniti di titoli professionali o di formali investiture, ma anche a chiunque si trovi in una posizione di supremazia sia pure embrionale - come nella specie – tale da porlo nella condizione di dirigere l’attività lavorativa di altri operai soggetti ai suoi ordini. Preposto può essere, quindi, anche chi esplica le mansioni di caposquadra in una piccola formazione di lavoratori.