Il danno non patrimoniale, compreso il pregiudizio di tipo esistenziale, deve essere risarcito quando sia conseguenza di una lesione in ambito di responsabilità contrattuale di diritti inviolabili costituzionalmente garantiti, come nel caso di dequalificazione professionale del lavoratore subordinato.
Detto danno può essere provato anche a mezzo di presunzioni semplici, sulle quali il giudice può fondare in via esclusiva il proprio convincimento.
E’ sulla base di queste argomentazioni che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 22288 del 25 settembre 2017, ha ritenuto corretta, confermandola, la motivazione resa dai giudici di merito nell’ambito della causa attivata da un lavoratore al fine di vedersi risarcito per essere stato assegnto a mansioni inferiori rispetto alla sua qualifica di appartenenza.
La Corte d’appello, nel dettaglio, aveva condannato la società datrice di lavoro al pagamento, in favore del dipendente, della somma di 18mila euro a titolo di risarcimento del danno da demansionamento.
Questo in quanto erano stati colti, alle luce delle risultanze istruttorie emerse nel corso del giudizio, degli indici presuntivi della presenza del danno non patrimoniale di tipo esistenziale, quale la lesione alla dignità personale e al prestigio professionale.