Con sentenza n. 22375, depositata in data 26 settembre 2017, secondo la Corte di Cassazione la denuncia di fatti di potenziale rilievo penale avvenuti nell’azienda non integra giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento; salvo non emerga il carattere calunnioso della denuncia che richiede la consapevolezza da parte del lavoratore della non veridicità di quanto denunciato e dunque, la volontà di accusare il datore di lavoro di fatti mai accaduti o dallo stesso non commessi.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22375, depositata il 26 settembre 2017, ha accolto il ricorso della lavoratrice.
In particolare, i giudici di legittimità hanno ribadito il principio secondo cui la denuncia di fatti di potenziale rilievo penale accaduti nell’azienda non integra giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento; ciò a condizione che non emerga il carattere calunnioso della denuncia stessa che richiede la consapevolezza da parte del lavoratore della non veridicità di quanto denunciato e quindi, la volontà di accusare il datore di lavoro di fatti mai accaduti o dal medesimo non commessi.
E’ stato, infatti, escluso che l’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. possa essere esteso sino a imporre al lavoratore di astenersi dalla denuncia di fatti illeciti che egli ritenga essere stati consumati in azienda; in tal caso, si correrebbe il rischio di legittimare condotte di omertà. Da qui, l’affermazione secondo cui l’esercizio del potere di denuncia non può essere fonte di responsabilità se non qualora il privato vi faccia ricorso in maniera strumentale e distorta