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Lavoratrice in periodo di allattamento: valutazione dei rischi e parità di trattamento

Pubblicato il 24 ottobre 2017 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

Dinnanzi al diniego di rilascio di un certificato attestante che l’esecuzione da parte dell’interessata degli incarichi inerenti al suo posto di lavoro presentava un rischio per l’allattamento del figlio, al fine di ottenere la concessione di una prestazione economica per i rischi durante l’allattamento, la Corte di Giustizia Ue è intervenuta con la sentenza 19 ottobre 2017, n. C-531/15. Al fine di dare attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, nel caso in cui una lavoratrice in periodo di allattamento contesta la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, si applicherà l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006. Spetterà alla lavoratrice dimostrare fatti idonei ad indicare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non è stata effettuata conformemente ai requisiti richiesti.


Con la sentenza 19 ottobre 2017, n. C-531/15, La Corte di Giustizia UE, dichiara che l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, dev’essere interpretato nel senso che esso si applica ad una situazione come quella oggetto del procedimento principale in cui una lavoratrice in periodo di allattamento contesta la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, in quanto non sarebbe stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Spetterà alla lavoratrice interessata dimostrare fatti idonei ad indicare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non è stata effettuata conformemente ai requisiti richiesti e in base ai quali si possa in tal modo presumere la sussistenza di una discriminazione diretta fondata sul sesso, ai sensi della direttiva 2006/54, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.


La parte convenuta avrà l’onere di dimostrare che detta valutazione dei rischi è stata effettuata conformemente ai requisiti previsti dalla menzionata disposizione e che, pertanto, non vi è stata alcuna violazione del principio di non discriminazione.


La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 19 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, nonché dell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia relativamente al diniego di rilascio di un certificato attestante che l’esecuzione da parte dell’interessata degli incarichi inerenti al suo posto di lavoro presentava un rischio per l’allattamento del figlio, al fine di ottenere la concessione di una prestazione economica per i rischi durante l’allattamento.


La Corte dopo aver analizzato la normativa, ha constatato che in generale il congedo di maternità tende a proteggere le lavoratrici gestanti, puerpere e in periodo di allattamento. Ne consegue che, poiché la condizione di donna in periodo di allattamento è strettamente legata alla maternità, e in particolare “alla gravidanza o al congedo di maternità”, le lavoratrici in periodo di allattamento devono essere tutelate al pari delle lavoratrici gestanti o puerpere. Di conseguenza, qualsiasi trattamento meno favorevole di una lavoratrice a causa della sua condizione di donna in periodo di allattamento dev’essere considerato come una discriminazione diretta fondata sul sesso.


Quindi se una lavoratrice in periodo di allattamento contesta, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, in quanto non sarebbe stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, deve essere applicato l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. In tal caso sarà la lavoratrice interessata a dover dimostrare fatti idonei ad indicare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non è stata effettuata conformemente ai requisiti richiesta in base alla normativa e al giudice del rinvio di verificane. Incomberà, inoltre, alla parte convenuta dimostrare che detta valutazione dei rischi è stata effettuata conformemente ai requisiti previsti dalla menzionata disposizione e che, pertanto, non vi è stata alcuna violazione del principio di non discriminazione.


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