La crisi che il nostro sistema economico ha recentemente attraversato ha determinato il frequente ricorso a operazioni di ristrutturazione del debito delle società, maturato in particolare verso il sistema bancario; e l’utilizzo di ingenti quantitativi di crediti delle banche per ricapitalizzare le società debitrici ha spinto all’ideazione di strumentazioni operative idonee a permettere alle banche stesse di “controllare” le scelte gestionali delle società beneficiarie di questi interventi di ristrutturazione. Nella strutturazione di queste operazioni e, quindi, nella soluzione delle relative problematiche, gli operatori professionali hanno affidato un ruolo sempre più incisivo ai cosiddetti strumenti finanziari partecipativi (d’ora innanzi indicati con l’acronimo “Sfp”) di cui agli articoli 2346, ultimo comma, e 2351, ultimo comma, cod. civ.. In Legislatore della riforma ha ritenuto opportuno mettere a disposizione delle imprese una nuova gamma di canali di finanziamento, in un’ottica di diversificazione dei mezzi di raccolta di capitale di credito e di rischio offrendo, in cambio dell’apporto di queste risorse, la possibilità di modulare in vario modo il ventaglio dei “diritti patrimoniali” (come il diritto a percepire l’utile d’esercizio) e dei “diritti amministrativi” (come il diritto di voto) attribuibili, mediante la titolarità degli Sfp, ai soggetti che accettano di effettuare questi apporti; invero, la assai sintetica disciplina codicistica conferisce ampio spazio alla fantasia degli operatori circa la elaborazione di regole confacenti al singolo caso concreto e offre la possibilità di assicurare, mediante l’inserimento in statuto di clausole ad hoc, una tutela reale dei diritti attribuibili ai titolari degli Sfp.