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Legittimo il recesso per le offese via mail

Pubblicato il 17 novembre 2017 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

Costituisce grave negazione dell’elemento fiduciario alla base del rapporto di lavoro la condotta del dipendente che, in numerose e-mail inviate dall’account aziendale, abbia formulato espressioni scurrili nei confronti del legale rappresentante e di altri collaboratori, con accuse di inettitudine e scorrettezze. Il tutto, veicolato con l’utilizzo di espressioni inurbane. La Cassazione ha ritenuto (sentenza 26682/2017 ) che il ripetuto utilizzo della posta elettronica aziendale per esprimere giudizi pesantemente offensivi nei confronti del management aziendale sia una questione che incide direttamente sulla tutela del patrimonio aziendale.


In sede di impugnazione giudiziale del licenziamento il lavoratore aveva contestato, tra l’altro, le modalità di acquisizione delle prove su cui si sorreggeva il provvedimento espulsivo, osservando che l’impresa non aveva adottato un regolamento aziendale diretto a disciplinare l’uso dei sistemi informatici e, più in particolare, della posta elettronica. Sulla scorta di questo assunto, la difesa del lavoratore censurava il licenziamento, asserendo che il contenuto delle e-mail oggetto del controllo datoriale non poteva essere legittimamente utilizzato a fondamento dell’azione disciplinare.


La Corte d’appello di Ancona, in riforma della decisione di primo grado, aveva contestato questa lettura, rimarcando che i dipendenti erano a conoscenza di come periodicamente venisse effettuata la duplicazione di tutti i dati presenti nei computer aziendali e osservando ancora che, nel caso di specie, il controllo datoriale era stato sollecitato da un’anomalia segnalata dall’amministratore di sistema rispetto al tentativo di cancellazione di file aziendali (tra cui alcuni messaggi di posta elettronica). Sulla scorta di questi presupposti, la Corte territoriale aveva concluso che gli accertamenti datoriali sulla posta elettronica aziendale non integravano gli estremi di un illecita forma di controllo sull’attività lavorativa del dipendente, ma erano diretti alla tutela dell’immagine dell’impresa e dell'onorabilità dei suoi collaboratori.


La Cassazione conferma questo giudizio e osserva che le rilevazioni sulla posta aziendale si iscrivono nel campo dei controlli difensivi, la cui legittimità deriva dal fatto che si tratta di misure funzionali all’accertamento di condotte illecite dei lavoratori foriere di ledere il patrimonio e l’immagine dell’impresa. I giudici di legittimità sono consapevoli che il controllo sull’utilizzo dei mezzi informatici e della posta elettronica comporta la necessità di operare un bilanciamento tra le esigenze di protezione dei beni aziendali, da un lato, con le garanzie di tutele per la sfera personale del lavoratore, dall’altro. Il contemperamento di queste due istanze deve portare il giudice, ad avviso della Corte, a una valutazione caso per caso, non potendo essere affermato a priori che il controllo sui mezzi informatici in dotazione ai dipendenti ricada sempre nell’ambito di quelli con funzione difensiva.


Facendo applicazione di questi principi, la Cassazione conclude che il controllo sulla posta elettronica del dipendente è legittima se, in presenza di una anomalia registrata dall’amministratore del sistema informatico, esso è diretto a prevenire il compimento di azioni che, attraverso la formulazione di espressioni scurrili e inurbane, recano danno all’immagine dell’impresa e al prestigio dei collaboratori.


 

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