Se il numero di partita Iva del fornitore risulta cessato, il cliente rischia di perdere il diritto alla detrazione dell'imposta evidenziata nella fattura (e non versata all'erario). Situazioni del genere, in seguito all'istituzione dell'obbligo di comunicazione dei dati delle fatture, il cosiddetto spesometro, stanno emergendo un po' ovunque, rivelando una dimensione inattesa del fenomeno. Sono infatti numerosi i casi di soggetti che diventano «ex imprese», ma solo per il fisco, continuando a lavorare sotto traccia e inguaiando i clienti, i quali non possono chiamarsi fuori. In base al principio generale della buona fede e della ragionevole diligenza, il contribuente deve prendere tutte le misure possibili per assicurarsi di non partecipare a un'operazione in evasione d'imposta. In questa prospettiva, il controllo del numero di partita Iva del fornitore per verificarne la validità, effettuabile da chiunque con un semplice accesso al sito internet dell'Agenzia delle entrate, è un onere proporzionato, come si desume da una recente sentenza della Corte di Giustizia. Prima di esaminare la questione, è opportuno tracciare sinteticamente il quadro generale di riferimento.