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La violazione comporta l’indennità per il lavoratore

Pubblicato il 06 dicembre 2017 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

La riscrittura dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori con la legge 92/2012 ha reso più controverso il regime sanzionatorio applicabile in caso di violazione dell’obbligo di repêchage nelle aziende con più di 15 dipendenti.


Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo giudicato illegittimo, la legge prevede due diverse tutele: reale e indennitaria, a seconda del tipo di vizio del licenziamento.

Il lavoratore può essere garantito dalla tutela reale in caso di licenziamento illegittimo per manifesta insussistenza del fatto (settimo e quarto comma dell’articolo 18), mentre nelle altre ipotesi in cui il giudice accerti che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, applica la tutela indennitaria da 12 a 24 mensilità (settimo e quinto comma dell’articolo 18).


Si è dunque dibattuto sulla possibilità di configurare il repêchage quale elemento costitutivo delle ragioni del licenziamento.

La giurisprudenza appare consolidata nell’affermare che l’obbligo di repêchage è una semplice conseguenza secondaria delle ragioni alla base del licenziamento e che la sua violazione non comporti l’insussistenza del motivo oggettivo e la tutela reintegratoria, ma solo quella indennitaria prevista dal comma 5 dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori come modificato dalla legge Fornero (legge 92/2012).


I tribunali ricordano che nel caso di illegittimità del licenziamento per violazione dell’obbligo di repêchage, il lavoratore «in base alle note modifiche della legge Fornero, non ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro ma solo al risarcimento danni.(…) Come si è visto, il fatto del quale valutare la sussistenza è soltanto il venir meno della posizione lavorativa, mentre l’obbligo di verificare se esiste o meno una possibilità di ricollocazione rappresenta una mera conseguenza del fatto, alla quale, tuttavia, il datore di lavoro è tenuto, al fine di non incorrere nella condanna sebbene, appunto, di natura esclusivamente economica» (Tribunale di Roma, sentenza 5005 del 26 maggio 2017 e sentenza 7296 del 1° agosto 2016; Tribunale di Torino, sentenza del 5 aprile 2016; Tribunale di Milano, sentenza del 6 maggio 2016).


Non dovrebbero esserci dubbi per i rapporti di lavoro regolati dal Dlgs 23/2015 , ossia per i lavoratori assunti con il contratto a tutele crescenti dal 7 marzo 2015, per i quali dovrebbe essere abbastanza certa, nel caso di violazione dell’obbligo di repêchage, l’applicazione dell’articolo 3, comma 1 del decreto: questa norma prevede, per le aziende con più di 15 dipendenti, l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la condanna del datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a quattro e non superiore a 24 mensilità (si veda ad esempio la sentenza del Tribunale di Milano del 21 febbraio 2017 ). Tuttavia, lo stesso Tribunale di Milano, seppur per una fattispecie particolare, ha espresso orientamenti diversi anche nel caso di licenziamenti illegittimi di lavoratori assunti in base al Dlgs 23/2015.

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