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Il demansionamento non giustifica l’assenza

Pubblicato il 23 gennaio 2018 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

Un lavoratore, adibito a mansioni inferiori a quelle svolte in precedenza, in violazione della norma contenute nell’articolo 2103 del codice civile (nella formulazione anteriore alla riforma del 2015), ha atteso oltre due mesi prima di richiedere la riassegnazione alle mansioni precedentemente svolte e - dal giorno immediatamente successivo all’invio della lettera di diffida - si è assentato dal posto di lavoro per «oltre quattro giorni», venendo perciò licenziato dalla società.


Tale decisione è stata ritenuta illegittima dalla Corte di appello di Firenze che, rilevando la «platealità della degradazione» subita dal lavoratore - privato delle responsabilità dapprima rivestite e adibito all’esecuzione di lavori di bassa manovalanza quali la pulitura del piazzale esterno all’azienda - ha ritenuto giustificato, in base all’articolo 1460 del codice civile, il rifiuto da parte del dipendente di rendere una prestazione diversa da quella in precedenza assegnatagli.

Nel decidere il ricorso proposto dalla società, la Cassazione (sentenza 836/2018 ) punta invece la propria attenzione sulla proporzionalità della reazione del lavoratore all’inadempimento datoriale e sulla sua rispondenza al principio di buona fede. In tale prospettiva la Corte osserva come il dipendente demansionato non possa sospendere ogni attività lavorativa ove il datore di lavoro assolva a tutti gli altri obblighi su di sé gravanti (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale eccetera), potendo rendersi totalmente inadempiente e invocare l’articolo 1460 del codice civile soltanto se totalmente inadempiente l’altra parte.

L’adibizione a mansioni inferiori, precisa infatti la Cassazione, consente al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica e/o del livello di appartenenza, «ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario che, peraltro, può essergli urgentemente accordato in via cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartite dall'imprenditore, ex articoli 2086 e 2104 del codice civile, e può legittimamente invocare l’articolo 1460 del codice, rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell’altra parte».

Alla stregua di tale principio, già più volte affermato in sede di legittimità (Cassazione 2033/2013; 12696/2012; 29832/2008; 25313/2007), e valutando contrario a buona fede il comportamento del dipendente, la Cassazione ha accolto il ricorso della società e ha dichiarato quindi legittimo il licenziamento intimato al lavoratore.

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