In presenza di dimissioni che il lavoratore asserisce avvenute per giusta causa, a seguito di trasferimento ad altra sede dell'azienda, è ammesso l'accesso alla Naspi se il trasferimento non sia sorretto da «comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive» previste dall'articolo 2103 del Codice civile.
Lo precisa l'Inps, con messaggio 26 gennaio 2018, n. 369 , in seguito richieste di chiarimento sulla definizione di casi concreti aventi quale tematica la possibilità di accedere alla prestazione Naspi nei casi di risoluzione consensuale, in seguito al rifiuto da parte del lavoratore al proprio trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblico e nella ipotesi di dimissioni per giusta causa a seguito del trasferimento del lavoratore.
A tal proposito, vengono riepilogate le istruzioni già fornite nel corso degli anni sulla tematica in esame, evidenziando come l'articolo 2, comma 4, della legge 92/2012 e l'articolo 3 del Dlgs n. 22/2015, riconoscono rispettivamente il diritto all'indennità di disoccupazione in ambito Aspi e all'indennità Naspi ai lavoratori dipendenti che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente gli ulteriori requisiti legislativamente previsti.
In merito all'involontarietà dello stato di disoccupazione, le norme citate prevedono che le indennità di disoccupazione sono riconosciute anche nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa e di risoluzione consensuale intervenuta nell'ambito della procedura di conciliazione di cui all'articolo 7 della legge n.604/66.
Quindi, in certi casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro non consegue ad un atto unilaterale del datore di lavoro, è consentito l'accesso al trattamento di disoccupazione. Nello specifico, nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa e cioè in presenza di una condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro, la cui ricorrenza deve essere valutata dal giudice, l'atto di dimissioni del lavoratore è comunque da ascrivere al comportamento di un altro soggetto e il conseguente stato di disoccupazione non può che ritenersi involontario.
Discorso analogo riguarda lo stato di disoccupazione che può ritenersi involontario nelle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro in cui le parti addivengono alla risoluzione consensuale del rapporto stesso, sia in esito alla procedura di conciliazione, sia in esito al rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km dalla residenza del lavoratore o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico. Su tale ultima ipotesi di risoluzione consensuale in esito al rifiuto al trasferimento, la volontà del lavoratore può essere stata indotta dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro conseguenti al trasferimento ad altra sede dell'azienda distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore e/o raggiungibile in 80 minuti con i mezzi pubblici.
Quindi, in tale caso si può riconoscere l'indennità di disoccupazione. Anche nei suddetti casi di risoluzione a seguito di rifiuto del trasferimento da parte del lavoratore le parti (datore di lavoro e lavoratore), in sede di conciliazione, convengono sulla corresponsione a vario titolo, spesso a titolo di incentivo, di somme, talvolta consistenti, diverse da quelle spettanti in relazione al pregresso rapporto di lavoro; anche in tali fattispecie – acquisito sulla materia il parere favorevole dell'ufficio legislativo del ministero del Lavoro - è possibile accedere alla Naspi in presenza di tutti i requisiti legislativamente previsti, anche laddove il lavoratore ed il datore di lavoro pattuiscano la corresponsione, a favore del lavoratore, di somme a vario titolo e di qualunque importo esse siano.