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Il licenziamento dopo la malattia ha natura ritorsiva

Pubblicato il 12 febbraio 2018 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

La malattia del lavoratore può rientrare nella nozione di disabilità delineata dalla direttiva 2000/78 sulle discriminazioni, purché abbia concretamente ostacolato l’effettiva partecipazione del lavoratore alla sua vita professionale. L’onere di provare il pregiudizio patito a causa della malattia-disabilità è del dipendente e se quest’onere non è stato assolto, la malattia non può costituire motivo discriminatorio del licenziamento. Il recesso esercitato dal datore di lavoro può essere considerato un atto ritorsivo ai danni del lavoratore in malattia se, dal complesso della vicenda, il provvedimento espulsivo del lavoratore non presenta altra spiegazione che la reazione della società a una condotta del dipendente. È il principio che si ricava dalla sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Firenze il 26 novembre 2017 (sentenza 1196/2017 ) che si segnala per l’enunciazione di importanti principi in tema di discriminazione, ritorsione e licenziamento per motivi economici.


La vicenda trae origine da un licenziamento per motivi oggettivi (giustificato dalla soppressione del reparto al quale era addetto il dipendente) intimato immediatamente dopo l’astensione del lavoratore a causa di una lunga malattia. Nelle prime due fasi del procedimento, il Tribunale ha accertato l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento perché il lavoratore licenziato non era adibito in via esclusiva a quel reparto e le sue mansioni erano state soppresse solo parzialmente. Era stato inoltre appurato che la società aveva assunto un’altra persona per svolgere le stesse mansioni prima attribuite al lavoratore licenziato. Pur in assenza dei presupposti per giustificare il licenziamento per motivi economici, il Tribunale, nell’accogliere la domanda del lavoratore, negava che il licenziamento avesse assunto i caratteri della ritorsione.


Il lavoratore ha proposto reclamo alla Corte d’appello eccependo, tra i motivi di impugnazione, che il licenziamento, oltre che ritorsivo, era anche discriminatorio. La Corte d’appello di Firenze, pur confermando le risultanze del Tribunale sulla insussistenza delle motivazioni poste alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, escludeva che il recesso, ancorché intimato al rientro dalla lunga malattia, fosse discriminatorio. Il lavoratore, infatti, non aveva provato che le menomazioni fisiche, mentali o psichiche gli avessero causato una effettiva disabilità, in aderenza a quanto previsto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea (sentenza Petya Milkova 395 del 1° dicembre 2016, C-395/2015). Esclusa la natura discriminatoria del recesso, questo veniva qualificato, invece, ritorsivo e per conseguenza nullo. Secondo la Corte d’appello infatti, la prova della ritorsione può essere fornita attraverso presunzioni, purché le siano gravi e precise (Cassazione, sentenza 3373/2017). Nel caso in esame, sostiene la Corte, è altamente probabile che il licenziamento costituisca una ritorsione alla lunga malattia del ricorrente. Da qui l’accertamento della sua natura ritorsiva.


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