La Corte di appello di Milano (sentenza 1712/2017, presidente Giovanni Casella) ha fissato alcuni principi in tema di retribuzione variabile, con riferimento all’ipotesi in cui il datore di lavoro ometta di individuare gli obiettivi annuali al cui raggiungimento è subordinata la corresponsione del premio.
Secondo la Corte ciò configura un inadempimento contrattuale (stante l’impegno del datore di assegnare gli obiettivi annuali) mentre risulta del tutto estraneo al meccanismo di finzione di avveramento della condizione (articolo 1359 del Codice civile).
Tale disposizione, invocata dal lavoratore ricorrente per chiedere il premio, prevede che una determinata condizione (il raggiungimento degli obiettivi ai quali è subordinata l’erogazione dell’incentivo) debba considerarsi soddisfatta qualora non si sia verificata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento.
La Corte ha tuttavia rigettato l’appello, affermando che l’articolo 1359 del Codice civile si applica solo in presenza di un evento futuro e incerto dal cui avveramento dipenda l'efficacia di un patto (“condizione in senso proprio”) e non anche con riguardo all'inadempimento di una obbligazione contrattuale, quale la Corte ha ritenuto essere la fissazione degli obiettivi del premio aziendale.
Ne consegue che il meccanismo possa essere invocato solo laddove, una volta assegnati gli obiettivi, il datore di lavoro abbia posto in essere condotte fraudolente (o forse anche solo colpose) dirette a impedire al lavoratore di raggiungere i risultati previsti (per esempio, nel caso in cui il datore di lavoro rifiutasse, senza alcun motivo, proposte contrattuali che permetterebbero di superare il fatturato indicato nel piano incentivi).
E spetterà comunque al lavoratore dar prova non solo dell’interesse del datore di lavoro contrario all'avveramento della condizione - non scontato, dal momento che la retribuzione variabile risulta quasi sempre collegata a un vantaggio economico per l’azienda - ma anche che l'obiettivo sarebbe stato raggiunto se il datore di lavoro non lo avesse volontariamente o colpevolmente impedito.
Al contrario, ritiene la Corte che, nell'ipotesi di mancata fissazione tout court degli obiettivi, gravi sul dipendente l'onere di « …dedurre e provare il raggiungimento da parte sua degli obiettivi che, secondo i principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, avrebbero dovuto essere ragionevolmente assegnati in un'ottica di continuità con quelli in precedenza fissati e in relazione alle potenzialità aziendali nonché alle situazioni contingenti del mercato».
Assente tale prova, nel caso di specie i giudici hanno dunque concluso per il rigetto dell'appello proposto dal lavoratore.