Dalla bozza del decreto Mef sulla determinazione dei prezzi di trasferimento potrebbero trarsi spunti di difesa sotto il profilo penale in caso di contestazioni da parte dell’Amministrazione. Partiamo dall’impresa italiana che acquista beni e servizi dalla controllata estera. Con le modifiche apportate a tale delitto dichiarativo questa casistica dovrebbe trovare facile risoluzione. Trattandosi di costi indeducibili per l’impresa italiana, ai fini penali rilevano soltanto elementi passivi di reddito «fittizi». L’altra ipotesi attiene la vendita di beni o servizi (e non l’acquisto come nel caso precedente) eseguita dall’impresa italiana verso la controllata estera. Per il soggetto italiano si tratta così di un ricavo sottratto a nulla rilevando la fittizietà dei costi di cui si è detto per l’ipotesi precedente e quindi le modifiche apportate al reato di dichiarazione infedele. La difesa dovrà puntare verosimilmente sul carattere squisitamente presuntivo dei nuovi valori accertati dall’ufficio basati su confronti e/o altre metodologie (peraltro ben de-scritte nel decreto in approvazione) che se hanno certamente rilevanza ai fini tributari sono del tutto insufficienti da soli a sostenere una eventuale accusa nel procedimento penale.
Integrativa per adeguarsi alla verifica
Aggiustamento “volontario” al valore normale delle transazioni intra-gruppo per gli anni aperti ai fini fiscali evitando la doppia imposizione. L’apertura potrebbe essere inserita nello schema di provvedimento del direttore delle Entrate, attuativo dell’articolo 31 quater, comma 1, lettera c), D.P.R. 600/1973, attualmente in consultazione pubblica. Per i gruppi multinazionali con transazioni intra-gruppo ricorrenti la rettifica estera conforme al principio di libera concorrenza subita per alcuni anni potrebbe comportare la necessità o l’opportunità di rivedere la transfer pricing policy e rettificare i prezzi applicati negli altri anni aperti ai fini fiscali, non ancora oggetto di contestazione. Una delle strade che potrebbero essere seguite è quella di ricorrere a dichiarazioni integrative al fine di adeguare prezzi e/o margini ai principi emersi dalla verifica che ha comportato l’aggiustamento arm’s length. In tal modo si ridurrebbero significativamente i rischi di ulteriori contestazioni di Tp in capo alla consociata estera. Si pone tuttavia il problema della rettifica corrispondente delle transazioni intra-gruppo in Italia e del conseguente recupero delle maggiori imposte pagate. Lo schema di provvedimento potrebbe pertanto essere integrato in modo da prevedere esplicitamente la possibilità di recuperare le maggiori imposte pagate in Italia anche in relazione agli aggiustamenti fatti autonomamente dalle consociate estere, e questo a maggior ragione sarebbe utile per quegli ordinamenti (come la Germania) dove la presentazione della dichiarazione integrativa per gli anni aperti a seguito di rettifica Tp non è un comportamento discrezionale ma è la precisa conseguenza di obblighi di legge. In tal modo si potrebbe ridurre al minimo la doppia imposizione e i rischi derivanti da rettifiche di Tp per tutti gli anni aperti, rendendo di fatto la procedura interna più efficace e flessibile delle Map.