Il licenziamento di un lavoratore per giusta causa è intimato dal proprio datore solo in presenza di gravi motivi, che devono essere supportati da adeguate, affidabili e piene prove. Fra queste rientrano anche i messaggi posta elettronica con firma elettronica, avanzata, qualificata o digitale. Tutti gli altri hanno un’efficacia probatoria discutibile, che sarà oggetto di un libero apprezzamento del giudice, poiché privi della richiesto grado di oggettività ed immodificabilità. A precisarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6425 depositata il 15 marzo 2018.
Una nota azienda, operante nel settore delle telecomunicazioni, licenziava un dipendente per giusta causa. In particolare, contestava al lavoratore delle irregolarità, in termini di privilegi conferiti solo ad alcuni rivenditori di rilevanza commerciale di prodotti di telefonia mobile, generando così una frode fiscale. Le contestazioni erano basate solo esclusivamente su messaggi di posta elettronica del dipendente. Il provvedimento era impugnato e, le doglianze erano accolte dal Tribunale che ne disponeva l’annullamento ed una tutela risarcitoria. La decisione era confermata anche in secondo grado, dalla Corte di Appello. Quest’ultima in particolare rilevava che l’attendibilità probatoria delle mail era discutibile, poiché si trattava di: a) corrispondenza la cui acquisizione richiedeva determinate garanzie; b) documenti provenienti dal datore di lavoro che, in virtù della piena disponibilità del server aziendale , in astratto vantava la possibilità di intervenire sul relativo contenuto; c) posta elettronica non certificata e sottoscritta con firma digitale. La difesa del datore di lavoro ricorreva in Cassazione per sostenere la fondatezza del licenziamento.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 6425, depositata il 15 marzo 2018, ha rigettato il ricorso presentato dal datore di lavoro.
In via preliminare, i giudici di legittimità chiariscono che il licenziamento per giusta causa deve essere supportato da prove adeguate, che giustifichino l’interruzione del rapporto di fiducia e gli eventuali danni economici e patrimoniali subiti dall’azienda.
Tale funzione può essere assolta, prosegue la Corte, anche dal messaggio di posta elettronica, che rientra nella categoria dei documenti informatici, purché rispetti i requisiti di affidabilità sanciti dal D.lgs 82/2005. In particolare, la norma attribuisce il pieno valore probatorio al solo documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale. La ragione, spiegano i giudici della Corte, risiede nella completa attendibilità della paternità del messaggio, sancita dall’immodificabilità dei codici crittografati, del proprietario. Diversamente, tutti gli altri documenti informatici privi della suddetta firma, sono liberamente valutabili dal giudice in quanto, facili oggetto di modifiche e quindi privi della richiesta oggettività ed integrità.
Nel caso di specie il licenziamento era intimato ad un dipendente che, sulla base di semplici email, avrebbe privilegiato in modo irregolare alcuni rivenditori diventando il responsabile di una frode fiscale, che ha travolto l’azienda. Da qui il rigetto del ricorso.