Il reato di indebita compensazione si realizza anche quando l'omesso versamento riguarda tributi differenti da imposte dirette e Iva. A confermare questa rigorosa interpretazione è la Corte costituzionale nella sentenza 21 febbraio 2018, n. 35. Il delitto di indebita compensazione previsto e punito dall’articolo 10-quater, D.Lgs. 74/2000 prevede la reclusione da 6 mesi a 2 anni nei confronti di chiunque non versi le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a 50.000 euro. È poi punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni se la compensazione riguarda crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai 50.000 euro. Tale differenziazione, introdotta dal D.Lgs. 158/2015, è giustificata dal fatto che l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti, rispetto a quelli non spettanti, rappresenta una fattispecie estremamente offensiva. L’inesistenza presuppone, infatti, che il soggetto abbia agito con un intento fraudolento sicuramente maggiore, creando artatamente e ad hoc crediti mai esistiti al solo fine di non versare le imposte dovute. Entrambe le condotte sono caratterizzate dal dolo generico consistente nella mera consapevolezza di utilizzare in compensazione crediti tributari inesistenti o non spettanti.