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Legittimo il licenziamento per abbandono del posto di lavoro anche se di breve durata

Pubblicato il 13 aprile 2018 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

Un dipendente di una società che forniva servizi di vigilanza privata veniva licenziato in base a due contestazioni: a) per la sesta volta veniva ritrovato senza il giubbotto antiproiettile; b) era stato visto abbandonare il posto di lavoro senza giustificazioni.


In particolare il lavoratore, che prestava servizio presso un’agenzia bancaria, a seguito di controllo era stato trovato presso un bar durante l’orario di lavoro, senza peraltro che indossasse il prescritto giubbotto.


Il provvedimento veniva impugnato ed il primo grado si concludeva con sentenza favorevole dal datore di lavoro.

A seguito dell’appello la pronuncia di prime cure era parzialmente riformata: in sintesi veniva dichiarato illegittimo il licenziamento, ritenuta una sanzione sproporzionata rispetto alla condotta contestata, atteso che il lavoratore si era recato al bar proprio di fronte alla banca. Secondo la Corte di Appello, in particolare, l’abbandono del posto di lavoro poteva configurarsi solo quando, per modalità e tempi, l’agente si allontana in modo da favorire eventuali intrusioni non controllate. Le altre sanzioni irrogate dal datore di lavoro venivano invece confermate alla luce della fondatezza delle mancanze che erano state contestate al lavoratore.

Entrambe le parti censuravano la decisione d’appello, chiedendone la parziale riforma.


La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9121, depositata il 12 aprile 2018, ha accolto i motivi di doglianza della società ricorrente e rigettato quelli propositi dal lavoratore. A differenza di quanto statutito dai giudici di merito, l’abbandono del posto di lavoro nei casi di vigilanza privata (art. 140 del relativo CCNL) presenta infatti una duplice connotazione: una oggettiva, costituita dal totale distacco dal bene da proteggere per la quale rileva l’intensità dell’inadempimento agli obblighi di sorveglianza, l’altra soggettiva, consistente nella coscienza e volontà della condotta di abbandono indipendentemente dalle finalità perseguite, restando irrilevante il motivo dell’allontanamento (salva però la configurabilità di cause scriminanti). Andava pertanto valutata, alla luce dei parametri suindicati, la coscienza e volontà del lavoratore di allontanarsi dalla propria postazione di servizio nonostante le direttive in merito alla necessità del piantonamento fisso antirapina, al fine della verifica sulla configurabilità o meno dell’abbandono del posto di lavoro.


Anche la contestazione sul mancato utilizzo del giubbotto antiproiettile, atteso che l’episodio si era verificato già diverse volte, poteva costituire causa di legittimo licenziamento. Ai fini della valutazione della proporzionalità tra addebito e recesso rileva infatti ogni condotta che per la sua gravità possa minare la fiducia del datore di lavoro, tale da porre in dubbio il futuro adempimento da parte del lavoratore e denotando una scarsa inclinazione di quest’ultimo a rispettare gli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza. La valutazione della congruità della sanzione spetta comunque al giudice di merito, che però nella specie non aveva giudicato la vicenda tenendo presente tutti gli elementi necessari (natura e tipologia del rapporto di lavoro, presenza di pregresse contestazioni, intensità dell’elemento intenzionale, grado di affidamento richiesto dalle mansioni).



Venivano infine rigettati i motivi di ricorso del lavoratore, che fondamentalmente tendevano ad una nuova valutazione di merito sulla vicenda, preclusa in sede di legittimità. La sentenza di appello è stata dunque cassata con rinvio.


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