La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 86/2018 riconosce la natura “risarcitoria” e non “retributiva” all'indennità dovuta al lavoratore che non viene immediatamente reintegrato nel posto di lavoro per ordine del giudice. Di conseguenza, l’imprenditore, in caso di riforma della pronuncia di reintegrazione, può chiedere la “ripetizione” di tali somme.
La Consulta, con la recente sentenza, riprende l’analisi dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, così come modificato dalla Legge n. 92/2012 soffermandosi, dunque, sui vecchi assunti e non sulle nuove “tutele crescenti” introdotte dal Jobs act dal 7 marzo 2015.
E’ da ricordare che proprio la riforma Fornero, che per prima ha operato un taglio al sistema della tutela reale, ha previsto - in caso di recesso datoriale ingiustificato – che il giudice può annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, per massimo 12 mensilità.
Secondo il Legislatore, l’indennità è risarcitoria perché ha la funzione di “ristorare” il lavoratore nel periodo intercorrente tra la pronuncia e l’effettiva ripresa dell’attività lavorativa.
Il Tribunale di Trento ha, però, sollevato la questione di legittimità costituzionale di tale norma rispetto all’articolo 3 della Costituzione, ritenendo che la qualificazione dell’indennità come risarcitoria “sarebbe irragionevole” e tale da determinare “un’ingiustificata disparità di trattamento” sotto il profilo della ripetibilità delle somme corrisposte a tale titolo, tra il datore di lavoro che ottemperi all’ordine di reintegra e il datore di lavoro inadempiente rispetto a tale ordine, che si limiti a versare la retribuzione a titolo risarcitorio, “scommettendo” con ciò sulla sua ripetibilità.
La Corte Costituzionale ritiene che la questione non sia fondata.
Secondo la sentenza n. 86/2018, infatti, il prevedere che il datore di lavoro, in caso di inottemperanza all’ordine (immediatamente esecutivo) del giudice, che lo condanni a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro, sia tenuto a corrispondergli, in via sostitutiva, una “indennità risarcitoria” non è “irragionevole”, bensì coerente al contesto della fattispecie disciplinata, connotata dalla correlazione di detta indennità ad una condotta contra ius del datore di lavoro e non ad una prestazione di attività lavorativa da parte del dipendente. Inoltre, non si può neanche sostenere che la qualificazione risarcitoria della suddetta indennità sia commisurata “all’ultima retribuzione globale di fatto”, e che ciò appunto inneschi un contrasto della disposizione censurata con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza.
Né, tanto meno si ritiene possibile la disparità di trattamento tra le due fattispecie in cui può trovarsi il datore di lavoro (che obbedisce al giudice e reintegra il lavoratore oppure che non obbedisce e non reintegra), dal momento che il primo non avrà titolo a ripetere le retribuzioni corrisposte al dipendente all’interno del periodo in questione, mentre il secondo potrà ripetere l’indennità risarcitoria versatagli una volta accertata la legittimità del licenziamento ed escluso, quindi, che abbia agito contra ius.
La Consulta dichiara che si tratta di due situazioni non omogenee e non suscettibili per ciò di entrare in comparazione nell’ottica dell’art. 3 Cost.; il datore di lavoro ottemperante all’ordine del giudice ottiene, infatti, quale corrispettivo dell’esborso retributivo, una controprestazione lavorativa, che manca invece al datore di lavoro inadempiente.