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Illegittimo licenziare il lavoratore part-time se rifiuta l’orario lungo

Pubblicato il 30 aprile 2018 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

La predisposizione di un nuovo modello organizzativo aziendale, in seguito all’acquisizione della società parte di un gruppo, non consente all’azienda di imporre il passaggio dal part-time al full time. È dunque illegittimo il licenziamento del dipendente che rifiuta il “lungo orario”, pur accettando il trasferimento.


La Cassazione, con la sentenza 10142 , respinge il ricorso del datore di lavoro , una grande catena di negozi di abbigliamento, contro l’ “ordine” di reintegrare la lavoratrice disposto dalla Corte d’Appello, in parziale riforma della decisione di primo grado. La difesa dei ricorrenti punta su un accordo sindacale sottoscritto, in occasione del passaggio di mano della società. Un “patto” nel quale si faceva riferimento alla necessità di mantenere lo stesso livello di inquadramento, ma non si faceva alcun cenno all’orario di lavoro. In assenza del “paletto”, secondo il datore, la proposta di modifica non violerebbe l’accordo. Per i ricorrenti non ci si troverebbe in presenza di un “cambio” unilaterale dell’orario di lavoro, visto che la proposta formulata poteva e doveva essere accettata dalla lavoratrice, capo reparto, che era consapevole delle conseguenze previste dall’accordo in caso di un eventuale rifiuto.


Il nuovo modello organizzativo prevedeva, infatti, sempre ad avviso del datore di lavoro, che le funzioni di “regia”, assegnate a direttori, capi reparto, capi magazzino e figure simili, potessero essere svolte solo con il “lungo” orario per garantire un presidio costante durante la giornata.


Per finire, la società ricorrente nega che il recesso, avvenuto nell’ambito di un licenziamento collettivo, sia stato determinato dal no al full -time, quando era piuttosto il risultato del rifiuto di una collocazione in un’altra sede, con identiche mansioni ma diverso orario lavorativo.


La Cassazione è in definitiva chiamata a stabilire se la Corte d’Appello abbia sbagliato o meno nell’interpretare come illegittimo, il criterio individuato nell’accordo in base al quale la scelta dei lavoratori in esubero coincideva con la mancata accettazione di proposte aziendali di ricollocazione, con garanzia di preservare retribuzione, livello e mansioni per posizioni che dovevano essere coerenti con il modello organizzativo aziendale.


Per la Suprema corte il verdetto dei giudici territoriali è corretto. L’accordo raggiunto entra, infatti, in rotta di collisione con il Dlgs 61 del 2000, che, con l’articolo 5, a tutela dell’incentivazione del lavoro a tempo parziale, prevede che il rifiuto del lavoratore di trasformare il suo rapporto da tempo pieno al part-time o viceversa, non possa far scattare il licenziamento. La Cassazione precisa che «la modalità oraria è un elemento qualificante della prestazione oggetto del contratto part-time, sicché la variazione, in aumento o in diminuzione, del monte ore pattuito, costituisce una novazione oggettiva dell’intesa negoziale inizialmente concordata, che richiede una rinnovata manifestazione di volontà, e non è pertanto desumibile “per facta concludentia” del comportamento successivo delle parti». La regola del consenso del lavoratore non è derogabile neppure quando un contratto collettivo aziendale preveda un cambiamento del regime di orario a part-time, come strumento alternativo alla collocazione in mobilità. Princìpi ai quali si attenuta la Corte d’Appello, una volta verificato che la dipendente era disponibile a spostarsi nella nuova sede ma non al full time. Per lei c’è la reintegra a parità di mansioni e con il tempo ridotto.

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