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Confine più incerto quando prevale l’apporto lavorativo

Pubblicato il 07 maggio 2018 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

La distinzione tra appalto di servizi e somministrazione di lavoro diventa ancora più sottile negli appalti cosiddetti labour intensive, ovvero appalti in cui l’apporto lavorativo è prevalente rispetto all’impiego di mezzi materiali per l’esecuzione delle attività (ad esempio appalti di pulizia, facchinaggio, engineering).

In queste ipotesi, venendo meno il discrimine di criteri quali l’organizzazione dei mezzi materiali, si pone il problema concreto di individuare gli spazi di legittimità riservati dall’ordinamento a tale ipotesi.

Secondo la giurisprudenza , in questi casi è sufficiente che il servizio sia caratterizzato da due fattori:
- l’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore;

- il potere direttivo.

I requisiti di legittimità dell’appalto, però, saranno differenti a seconda che oggetto del servizio sia un’attività a elevato contenuto professionale o un’attività semplice: nella prima ipotesi, infatti, sarà necessario provare che nell’attività di organizzazione e direzione del personale impiegato l’appaltatore trasmetta un know-how fatto di capacità e conoscenze tecniche, senza le quali la prestazione del singolo lavoratore avrebbe minor valore produttivo per l’impresa committente.

Al contrario, in caso di attività semplice, sarà sufficiente la mera attività di organizzazione e direzione della manodopera (Tribunale di Pesaro, sentenza 115 dell’8 marzo 2013).

Pertanto, è stato ritenuto legittimo l’appalto con prevalente apporto di manodopera sulla base del rilievo che il potere direttivo e disciplinare veniva esercitato dall’appaltatore, che gestiva le richieste e l’organizzazione del piano ferie e dei permessi, a nulla rilevando che il committente comunicasse in radiofrequenza, indicazioni ai lavoratori addetti all’appalto – rientrando questa ipotesi nei poteri di controllo del committente (tribunale di Bologna, sentenza 351 del 27 aprile 2016).

Questo potere organizzativo dell’appaltatore, sul piano concreto, può essere esercitato anche da personale addetto all’appalto a ciò preposto (referenti interni), senza che possa deporre in senso contrario la circostanza che il soggetto abbia dei contatti diretti con il legale rappresentante della società committente (Tribunale di Monza, sentenza 71 del 7 aprile 2015).

Ma se il criterio dell’organizzazione del lavoro è il fattore principale di verifica del contratto di appalto, sono pur sempre necessari altri elementi in generale in materia di genuinità dell’appalto, in particolare, per l’autonomia e compiutezza del servizio oggetto d’appalto, che potrà costituire una sezione del processo produttivo del committente, ma dovrà essere esperibile autonomamente dall’appaltatore (Tribunale di Milano, sentenza 3248 del 31 gennaio 2015).

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