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Dichiarazione emendabile se si dimostra che l'errore è essenziale e riconoscibile

Pubblicato il 08 giugno 2018 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

Una S.r.l. indicava erroneamente nella propria dichiarazione per il 2006 un credito IVA chiesto a rimborso e poi riportato nella dichiarazione dell’anno successivo come credito in compensazione. Veniva dunque notificata al contribuente una cartella di pagamento per il recupero di detto credito IVA.


La società, accortasi dell’errore, si attivava tempestivamente per rimediare, non predisponendo nel 2007 il modello VR per ottenere il rimborso IVA e presentando altresì istanza di sgravio all’Ufficio.


Sulla base di tali elementi la CTP accoglieva il ricorso presentato annullando la cartella di pagamento. Anche la CTR era del medesimo avviso, ritenendo che la contribuente avesse fatto solo un errore che non aveva inciso sull’attività di controllo dell’Agenzia la quale, peraltro, espressamente informata della reale volontà della S.r.l., si era rifiutata illegittimamente di correggere l’errore ritenendolo non formale.


L’Ufficio impugnava la sentenza di appello, sostenendo che il comportamento della contribuente integrava una vera e propria manifestazione di volontà negoziale ritrattabile esclusivamente con la presentazione della dichairazione integrativa.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14859, depositata il 7 giugno 2018, ha rigettato il ricorso dell’Ufficio.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non è possibile riconoscere l’emendabilità illimitata di errori commessi nella compilazione della dichiarazione: se il Legislatore ha subordinato la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà od opzione del contribuente, anche da compiersi all’interno della stessa dichiarazione, tale parte assume il valore di atto negoziale e come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che lo stesso fosse conosciuto o conoscibile dall’Amministrazione.


In sintesi in tali ipotesi, il contribuente che intende contestare l’atto impositivo, per far valere l’errore commesso deve provare la sua rilevanza in relazione ai requisiti di essenzialità ed obiettiva riconoscibilità. Sulla base di tali principi la CTR nella specie non era incorsa in alcun errore, occorrendo solo integrare la motivazione della decisione d’appello.


In particolare i giudici avevano correttamente considerato che:

i) la contribuente per il 2007, cosciente dell’errore fatto in precedenza, non aveva predisposto il modello VR per ottenere il rimborso IVA;

ii) la stessa circolare n. 12/2010 dell’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto che l’assenza di detto modello comporta che il credito IVA indicato in dichiarazione si intende imputato in detrazione e/o in compensazione;

iii) la società, dopo aver appreso che l’Ufficio intendeva riprendere a tassazione l’eccedenza IVA indicata in compensazione per il 2007, aveva avanzato istanza di sgravio disattesa dall’Ufficio.


Tali elementi, prosegue la Suprema Corte, rendevano evidente che la contribuente avesse dimostrato l’essenzialità e riconoscibilità dell’errore, mettendo in condizioni l’Agenzia di prenderne atto.


Peraltro, nessun pregiudizio era derivato allo Stato dalla condotta della società, la quale, una volta resasi conto della situazione, aveva espressamente esternato la propria volontà di non attivarsi per ottenere il rimborso per l’anno 2006, presentando solo richiesta di rimborso parziale, tramite modello VR, per il periodo d'imposta 2007.

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