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Demansionata la lavoratrice subordinata a un collega di qualifica inferiore

Pubblicato il 10 luglio 2018 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

Costituisce demansionamento l'assegnazione di una lavoratrice in una posizione subordinata rispetto ad un funzionario di qualifica inferiore e con compiti di livello quantitativo più basso rispetto a quelli precedenti. Da questo fatto non discende, tuttavia, oltre al diritto al risarcimento del danno patrimoniale anche al riconoscimento di quello non patrimoniale, che va sempre provato.


I chiarimenti arrivano dalla Corte di cassazione, che con la sentenza n. 17978/18 , depositata ieri, ha messo la parola fine a una controversia sorta fra una dipendente delle Entrate e l'Agenzia, seguita a un trasferimento della donna ad un altro ufficio, con compiti qualitativamente inferiori e in posizione subordinata rispetto a un collega con qualifica inferiore alla sua.


Dopo la decisione della Corte d'appello, che aveva riconosciuto il demansionamento della lavoratrice – con quantificazione del relativo risarcimento - ma non il danno non patrimoniale richiesto dalla stessa, sui due punti della controversia i giudici di legittimità sono stati tirati in causa sia dalla dipendente, sia dalle Entrate.


Per quanto concerne la richiesta del riconoscimento del danno non patrimoniale, la Cassazione ha ricordato che esso non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere «da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell'esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno». Situazione, quest'ultima, che spetta al lavoratore provare in base all'articolo 2697 del Codice civile, dimostrando l'esistenza del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale (sul punto, Cass, 29047/17). Prova che per i giudici d'appello non era stata fornita; dalle testimonianze raccolte in prime cure, peraltro, «non era emerso alcun deterioramento delle relazioni in ambito lavorativo, sociale o familiare, a cui ricollegare un pregiudizio obiettivamente apprezzabile e causalmente derivante dai comportamenti denunciati».


Respinto, sull'altro fronte, anche il ricorso dell'Agenzia, secondo cui la subordinazione della lavoratrice a un dipendente di qualifica immediatamente inferiore nella medesima area non implica demansionamento. Un'affermazione, questa, che sarebbe dettata dalla lettura delle mansioni corrispondenti alle qualifiche dei due lavoratori, in base alla quale emergerebbe che la possibilità di coordinare unità organizzative sussiste per entrambe. Per i giudici di legittimità, invece, è stato corretto l'accertamento effettuato nel giudizio di secondo grado, in cui, alle risultanze testimoniali, nonché dalla documentazione prodotta dall'Amministrazione, era emerso che le mansioni in concreto affidate alla lavoratrice non erano rispondenti ai contenuti di responsabilità ed autonomia gestionale propri della qualifica da essa ricoperta in precedenza presso la stessa Agenzia.


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