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Licenziamenti economici, scelta da motivare anche a parità di posizioni

Pubblicato il 31 agosto 2018 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

Nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in seguito alla soppressione di un posto di lavoro, in presenza di più posizioni occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, il datore di lavoro deve individuare il soggetto da licenziare secondo i principi di correttezza e buona fede individuati dall'articolo 5 della legge 223/1991, ma non può essere escluso neppure l'utilizzo di altri criteri, purchè non arbitrari, improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei dipendenti interessati.


Il principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione nella sentenza 21438/18, depositata ieri, con cui i giudici di legittimità sono stati chiamati a pronunciarsi sul ricorso di una Srl, la quale, dopo aver licenziato un lavoratore motivando la scelta con la soppressione del ramo produttivo a cui quest'ultimo era stato assegnato, era stata poi condannata dalla Corte d'appello di Firenze a risarcirlo con sei mensilità per non avere dimostrato le ragioni per cui la scelta del dipendente da licenziare non era ricaduta su altri lavoratori con pari mansione e minore anzianità servizio.


Dopo avere respinto per inammissibilità due dei tre motivi di ricorso della società, la Cassazione ha approfondito la questione della soppressione del settore d'attività a cui il lavoratore era addetto, rispetto alla quale la censura aziendale è stata considerata infondata. La Corte ha sottolineato che secondo l'articolo 3 della legge 604/1966 ai fini del recesso datoriali servono:


1) la soppressione del settore lavorativo, del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni allo stesso attribuite in precedenza;


2) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali diretti a incidere sulla struttura e organizzazione dell'impresa, insindacabili dal giudice purchè effettivi e non simulati;


3) l'impossibilità del reimpiego del lavoratore in mansioni diverse.


L'onore probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, il quale può assolverlo anche tramite presunzioni.

Quando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile – precisa la Corte – non sono poi utilizzabili né il normale criterio della posizione lavorativa da sopprimere, né quello dell'impossibilità di repechage. Anche in questo caso la scelta datoriale resta, tuttavia, limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, anche dalle regole di correttezza cui deve essere informato ogni comportamento delle parti del rapporto in base agli articoli 1175 e 1375 del Codice civile. Dettami di correttezza e buona fede – sottolineano i giudici – per i quali si è ritenuto (Cassazione 13058/2003) che sia possibile fare riferimento, anche per le aziende fino a 15 dipendenti, ai criteri dettati dall'articolo 5 della legge 223/1991 in materia di licenziamenti collettivi per l'ipotesi in cui l'accordo sindacale previsto non abbia indicato criteri di scelta diversa, ossia i carichi di famiglia e l'anzianità.


Ciò premesso, secondo la Suprema corte correttamente si è operato in sede d'appello, accertando che lo specifico settore a cui era addetto il lavoratore era stato soppresso, che in altri settori era rimasta la necessità dello svolgimento delle mansioni di falegnameria e che vi erano altri dipendenti i quali volgevano le medesime mansioni del licenziato. In questo contesto, la Srl ricorrente non aveva offerto prova delle ragioni per cui era proprio la posizione lavorativa del licenziato quella da sopprimere, avendo omesso di porre a raffronto il suo profilo con quello di altri lavoratori con le medesime funzioni.


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