Uno dei fronti sui quali la contrattazione collettiva (nazionale e aziendale) trova ancora spazio nella regolazione dei contratti a termine e della somministrazione a tempo determinato, dopo le modifiche introdotte con il decreto estivo (Dl 87/2018 , convertito dalla legge 96/2018), è il contingentamento di queste formule contrattuali: si tratta delle clausole che prevedono tetti massimi di utilizzo, in rapporto ai lavoratori assunti stabilmente dall’azienda al 1° gennaio dell’anno di assunzione.
Sulla somministrazione a tempo determinato, il nuovo comma 2 dell’articolo 31, del Dlgs 81/2015, prevede – con esclusione dei soggetti “svantaggiati” – un limite all’impiego pari al 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula dei contratti stessi. In questa soglia del 30% rientrano anche i lavoratori a termine assunti direttamente dall’utilizzatore.
La legge fornisce due indicazioni di tipo gestionale:
• i datori che iniziano l’attività in corso d’anno possono usare come base di computo del personale a tempo indeterminato, per conteggiare il tetto, quello in forza al momento dell’assunzione;
• rispetto al dato numerico ottenuto, il decimale va arrotondato all’unità superiore, qualora esso sia uguale o superiore a 0,5.
La norma concede la possibilità di arrivare a discipline diverse tramite i contratti collettivi nazionali (Ccnl) o tramite le intese collettive aziendali (o territoriali). L’articolo 51 del Dlgs 81/2015 precisa che i «contratti collettivi» sono quelli nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali o dalla rappresentanza sindacale unitaria. Questa norma (che non è stata modificata) conferisce dunque una delega alla contrattazione di secondo livello, purché esperita da associazioni sindacali rappresentative.
I contratti collettivi possono intervenire anche sul limite del 20% dei contratti di somminitsrazione a tempo indeterminato (sempre in rapporto ai lavoratori stabili in forza al 1° gennaio presso l’utilizzatore), che era già previsto dall’articolo 31 del Dlgs 81/2015 e non è stato modificato dal Dl 87/2018.
La regola generale stabilita sui contratti a termine (articolo 23 del Dlgs 81/2015) stabilisce che non possono essere assunti lavoratori a tempo determinato in misura superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione.
Se la base di riferimento è la stessa a cui ci si deve rapportare per il riscorso alla somministrazione a termine, in questa ipotesi i margini sono più ristretti: infatti, la convivenza di lavoratori a termine e di lavoratori somministrati a termine (o la presenza solo di questi) fa elevare la soglia “solo” al 30 per cento.
I datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti possono stipulare un solo contratto a termine.
Restano sempre esclusi dalla limitazione i contratti a tempo determinato conclusi:
• nella fase di avvio di nuove attività (definiti dalle intese collettive);
• da imprese start-up innovative;
• per le attività stagionali;
• per specifici spettacoli ovvero programmi radiofonici o televisivi;
• per sostituzione di lavoratori assenti;
• con lavoratori di età superiore a 50 anni;
• da parte delle università, istituti di ricerca, enti culturali nei confronti dei lavoratori impiegati per far fronte a esigenze temporanee specificate dalla norma.
Anche in merito al tetto sull’utilizzo dei contratti a termine, le intese collettive aziendali possono disporre diverse regolamentazioni rispetto a quella del Dlgs 81/2015, con l’introduzione di percentuali differenti (più basse o più alte). L’intervento collettivo può anche stabilire diversi criteri di computo rispetto a quelli previsti dalla norma, nonché specifiche ipotesi di esclusione dei limiti.
Oltre alla contrattazione delegata, per derogare alle pattuizioni di legge e del Ccnl, resta percorribile lo strumento del contratto di prossimità (articolo 8, del Dl 138/2011), nel rispetto delle condizioni richieste dalla norma.
Bisogna tenere presente, però, che il ministero del Lavoro ha negato la possibilità di rimuovere del tutto i limiti quantitativi previsti dalla legislazione o dalla contrattazione nazionale, limitandone il campo d’azione soltanto a una diversa modulazione (interpello 30/2014).