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«Vecchi» contratti a termine, il Jobs act vale fino a ottobre

Pubblicato il 12 settembre 2018 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

Il 14 luglio è la data da tenere come punto di riferimento per stipulare correttamente i contratti a termine, anche in somministrazione, rispettando le regole introdotte dal decreto dignità.


Con l’approvazione del decreto e della legge di conversione, infatti, si sono succeduti ben 4 regimi normativi in materia di contratti flessibili; situazione che ha generato molte ansie negli uffici del personale, chiamati a gestire migliaia di proroghe e rinnovi contrattuali in un contesto di grande confusione (e nel pieno del periodo estivo).


Per superare questa incertezza, cerchiamo di capire come funziona il nuovo regime transitorio, introdotto dalla legge di conversione del decreto e valido fino al 31 ottobre, partendo da un dato fondamentale: la data in cui è stato sottoscritto il primo contratto a termine (diretto, oppure a scopo di somministrazione) tra le parti.


Se questo contratto è stato sottoscritto (ma anche rinnovato o prorogato) prima del 14 luglio, si applica il regime transitorio che consente di continuare a prorogare o rinnovare il rapporto secondo le vecchie regole del Jobs act, fino al prossimo 31 ottobre; se invece il primo contratto è stato stipulato dal 14 luglio in poi, si applicano da subito le nuove regole.


Facciamo un esempio. Un contratto a termine viene stipulato il 20 giugno, con scadenza prevista per il 20 settembre. Questo contratto era già in corso al 14 luglio e, quindi, potrà essere prorogato, sino a un massimo di 5 volte, senza indicazione delle causali e fino alla durata massima di 36 mesi (o quella diversa prevista dai contratti collettivi). Analogamente, tale contratto potrà essere rinnovato, una o più volte, senza necessità della causale.


Il regime transitorio non ha, tuttavia, durata indefinita: le proroghe e i rinnovi, infatti, restano soggette alle vecchie regole solo se sono sottoscritte entro 31 ottobre (pur potendo avere una durata che supera questa data). Anche qui può essere utile un esempio. Il rinnovo di un contratto che scade il 30 settembre ed è già durato 20 mesi potrà avere una durata massima di 16 mesi, e non richiederà la causale, se concordato entro il 31 ottobre; se invece le parti decideranno solo a novembre di rinnovare l’intesa, i mesi residui utilizzabili saranno soltanto 4, e servirà la causale.


Come accennato, il regime applicabile cambia completamente se il primo contratto stipulato tra le parti decorre dal 14 luglio in poi: in questo caso, si applicano immediatamente le nuove regole, senza eccezioni.


Pertanto, un accordo siglato per la prima volta il 20 settembre, può essere prorogato alla scadenza solo fino a un massimo di 4 volte, e richiederà la causale se saranno superati i 12 mesi; allo stesso modo, in caso di rinnovo, il contratto dovrà sempre essere accompagnato dalla causale.


Il regime transitorio non riguarda la maggiorazione dello 0,5%, che è già entrata in vigore e si applica a tutti i rinnovi (in via cumulativa, quindi al secondo rinnovo la maggiorazione è dell’1%), e neanche il nuovo limite del 30% di lavoratori flessibili, intesa come sommatoria di lavoratori a tempo determinato e somministrati rispetto al totale di quelli in forza con contratto a tempo indeterminato.


Questa soglia, tuttavia, si applica solo ai contratti stipulati dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, il 12 agosto. I contratti già in corso a tale data restano, invece, soggetti alle vecchie regole e, quindi, anche se determinano il superamento della soglia, non sono illegittimi e possono mantenere efficacia sino alla scadenza iniziale, a patto che non siano rinnovati o prorogati. In tale ipotesi, infatti, anche tali rapporti entrano nel computo del 30 per cento.


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