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Tfr da pagare anche senza rientro in servizio

Pubblicato il 18 settembre 2018 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

Il datore di lavoro deve pagare il Tfr al lavoratore anche se non lo riammette in servizio. Con l'ordinanza n. 21947/2018 la Cassazione si è pronunciata sul diritto del lavoratore alla retribuzione, e alla maturazione del relativo Tfr, in caso di mancata riammissione in servizio a seguito dell'accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro e della conseguente trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.


All'origine del provvedimento – relativo a una fattispecie antecedente l'entrata in vigore dell'articolo 32 del collegato lavoro (legge 183/2010) che ha introdotto nel nostro ordinamento un'indennità risarcitoria omnicomprensiva nell'ipotesi di conversione del contratto a termine - vi è l'opposizione avverso lo stato passivo di una società fallita proposta da un ex lavoratore in relazione al proprio credito per Tfr, opposizione che è stata respinta dal tribunale.


La Suprema corte ha confermato il decreto emesso dal tribunale nella parte in cui ha ritenuto che dall'accertamento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro non potesse derivare il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni per il periodo del rapporto di lavoro anteriore alla sentenza di conversione del contratto a termine.

Sul punto è stato richiamato il costante orientamento (per tutte, Cassazione, sezioni unite, 14381/2002) secondo cui - in riferimento alla disciplina anteriore alle disposizioni dell'articolo 32, comma 5, del collegato lavoro - in caso di trasformazione in un unico rapporto a tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi nel tempo, il lavoratore non aveva diritto alla retribuzione per l'intero periodo, compresi gli «intervalli non lavorati» tra l'uno e l'altro rapporto, mancando una deroga al principio generale di effettività e corrispettività delle prestazioni.


In particolare, il lavoratore poteva soltanto «ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell'impossibilità della prestazione, derivante dall'ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla, a condizione che il datore di lavoro fosse stato posto in una condizione di mora accipiendi».


La Suprema corte, tuttavia, ha cassato il decreto nella parte in cui non ha riconosciuto il diritto del lavoratore alla retribuzione – e quindi al Tfr relativo - con riferimento al periodo successivo alla sentenza di accertamento della nullità del termine. In particolare, la Corte ha precisato come l'orientamento consolidato debba essere necessariamente coniugato con le statuizioni della recente sentenza delle sezioni unite 2990/2018, secondo cui un'interpretazione costituzionalmente conforme della normativa generale del codice civile in tema di contratti a prestazioni corrispettive induce a superare – in alcune ipotesi – la regola sinallagmatica della corrispettività.


In particolare, ad avviso degli ermellini tale superamento deve avvenire «nei casi in cui il datore di lavoro senza giustificato motivo, nonostante la sentenza che accerta un vincolo giuridico e l'ordine giudiziale del ripristino del rapporto di lavoro, non provveda alla riammissione in servizio del lavoratore a fronte dell'offerta della sua prestazione». Infatti – prosegue la Corte – nel rispetto del principio di «necessaria effettività della tutela processuale e, dunque, della piena attuazione dei diritti del lavoratore», deve evitarsi che il lavoratore subisca le ulteriori conseguenze sfavorevoli derivanti dalla condotta omissiva del datore di lavoro rispetto alla esecuzione dell'ordine giudiziale.


Pertanto, in tale ipotesi, il datore di lavoro non sarà tenuto nei confronti del lavoratore a un mero risarcimento del danno, ma dovrà sopportare il «peso economico delle retribuzioni – pur senza ricevere la prestazione lavorativa corrispettiva – a decorrere dalla messa in mora», con conseguente diritto del lavoratore alla maturazione del relativo Tfr.


Per completezza va ricordato come la Consulta (sentenza 303/2011), cui le sezioni unite richiamate fanno riferimento, nel dichiarare non fondate le eccezioni di incostituzionalità dell'articolo 32, comma 5, 6 e 7, della legge 183/2010, ha espressamente rilevato come «a partire dalla sentenza con cui il giudice…converte il contratto di lavoro» in un contratto a tempo indeterminato, il datore di lavoro è obbligato a «riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva». Col che il cerchio si chiude.

 

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