In un contesto ambientale connotato da forte stress ed insoddisfazione, sono nulle le dimissioni del lavoratore esposto ad una condizione transitoria di notevole turbamento psichico che impedisca la formazione di una volontà cosciente e consapevole sulle effettive conseguenze che derivano dalla rinunzia al posto di lavoro. Ad avviso della Cassazione (sentenza n. 30126/18 , depositata ieri), lo stato di temporanea alterazione dell’equilibrio psichico in cui versa il lavoratore è condizione sufficiente per l’annullamento dell’atto delle dimissioni, senza che a tal fine sia necessaria l’esistenza di un conclamato stato di incapacità di intendere e volere.
La Cassazione afferma in modo chiarissimo che l’annullamento delle dimissioni non presuppone una totale esclusione della capacità volitiva, essendo sufficiente un notevole turbamento psichico che impedisca o, quantomeno, riduca la capacità di percezione del lavoratore in ordine alle conseguenze che, sul piano occupazionale e del mantenimento familiare, possono derivare dalla decisione di privarsi del posto di lavoro. Posto che il diritto al lavoro riceve una protezione di rango costituzionale, aggiunge la Corte, la decisione unilaterale del dipendente di rinunciare al rapporto d’impiego impone di valutare con particolare rigore tutti gli elementi – sia quelli inerenti al contesto aziendale, sia quelli intrinseci alla sfera emotiva e personale del lavoratore - che possono incidere sulla piena capacità di discernimento e comprensione delle conseguenze che derivano da tale azione.
Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Cassazione era relativo alle dimissioni che il dipendente di un ente comunale aveva rassegnato, in un momento di forte alterazione emotiva, a valle di una condizione ambientale connotata da forte stress e insoddisfazione. Il lavoratore ha manifestato, in seguito, la volontà di revocare le dimissioni, ma il Comune non ha ritenuto questa iniziativa giuridicamente vincolante, inducendo il dipendente a chiedere l’annullamento delle dimissioni al Tribunale.
In primo e secondo grado, la domanda del lavoratore è stata rigettata, ritenendosi che la dichiarazione di invalidità delle dimissioni presupponesse una totale esclusione della capacità psichica e volitiva. La Cassazione ribalta questa valutazione e osserva che l’indagine sulla consapevolezza delle dimissioni va condotta con rigore e impone di accertare l’incondizionata volontà del lavoratore di risolvere il rapporto di impiego. In questo contesto, conclude la Corte, l’annullamento delle dimissioni non presuppone la totale privazione della capacità intellettiva, ma è compatibile con un transitorio turbamento psichico che impedisca, o alteri, la formazione di una volontà cosciente.