La correzione delle regole degli scambi intracomunitari, prevista dalla recente Direttiva 2018/1910 del Consiglio UE con effetto dal 1° gennaio 2020 disallinea la definizione di cessione e quella di acquisto intraUE. Con il rischio di causare una doppia imposizione alla quale occorrerebbe rimediare poi in qualche modo: se l'acquirente è un soggetto passivo, infatti, lo Stato membro di arrivo dei beni potrebbe pretendere il pagamento dell’Iva anche se la cessione è stata tassata nello Stato membro di partenza. La modifica dell’articolo 138 fornirà certamente un contributo molto importante per il contrasto delle frodi; riesce infatti difficile pensare che vi saranno soggetti che opereranno in contrasto con la nuova norma. Nondimeno, sul piano sistematico, le regole non appaiono più perfettamente sincronizzate (a ogni acquisto intracomunitario tassabile nel paese di destinazione deve corrispondere una cessione intracomunitaria esente nel paese di origine). Come detto, infatti, l'acquisto intracomunitario del quale sussistono i presupposti non viene certo meno per il fatto che la cessione intracomunitaria sia stata assoggettata all'imposta. In tale ipotesi, dovrebbe ritenersi che, una volta riscossa l'imposta a destinazione, debba riconoscersi il diritto al rimborso di quella pagata nel paese di origine. La soluzione finale arriverà forse solo con il superamento del regime transitorio e l'adozione del regime definitivo, basato sulla soppressione dell'acquisto intracomunitario e sulla localizzazione della cessione intraunionale nel Paese di destinazione.