Il danno esistenziale da demansionamento deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo quindi fondamentale rilievo la prova per presunzioni.
È quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza del 3 gennaio 2019, n. 21 , intervenendo sul ricorso presentato da Poste Spa contro le decisioni dei giudici di merito che avevano riconosciuto il danno da demansionamento di una dipendente, con qualifica di quadro, dapprima assegnata alle competenze di vicedirettore, e successivamente a mansione di responsabile di un'unità del settore "pacchi in transito", con compiti ridotti al mero controllo della sussistenza di pacchi e al riepilogo mensile. La società ricorrente, in estrema sintesi, lamentava l'insufficienza di prove e contestava i criteri di valutazione delle stesse da parte, da ultimo, della Corte di appello.
I giudici di legittimità, nella loro decisione, offrono un interessante excursus sui criteri da seguire ai fini della prova del danno da demansionamento:
- non è necessario che la sentenza dia conto di tutte le risultanze probatorie, purché il demansionamento sia stato rilevato con motivazioni logiche e congrue (Cass. 8053/2014);
- il giudice può discrezionalmente attribuire valore preminente agli elementi probatori acquisiti, e ritenerli sufficienti per la decisione, escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti; la valutazione, se logica e coerente, è insindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. 898/1999; Cass. 3125/2002);
-la prova del danno da demansionamento può avvenire, ex art. 2729 c.c., anche attraverso la allegazione di presunzioni gravi, precise e concordanti; a tal fine possono essere valutati, quali elementi presuntivi, la qualità e la quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata qualificazione (Cass. sez. unite 6572/2006; Cass. 29832/2008).
La Corte di cassazione conclude, nel respingere il ricorso, abbracciando pienamente il principio osservato dalla Corte di Appello ed applicato alla fattispecie in esame, per cui, mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni (Cass. sez. unite, 6572/2006, Cass. 29832/2008 Cass. 6930/2012).