I navigator dovranno trovare un lavoro stabile a persone prive di occupazione, pur essendo essi stessi impiegati con la collaborazione coordinata e continuativa, un contratto che stabile non è ma, anzi, è spesso considerato un emblema del precariato. Una situazione molto singolare dal punto di vista strettamente giuridico, perché la collaborazione coordinata non si può utilizzare per chi è inserito in modo organico all’interno dei centri per l’impiego. I problemi che ne potrebbero derivare sono ben evidenziati dalla sentenza 3314/2019 pubblicata ieri dalla Corte di cassazione, che ha giudicato il caso di un collaboratore coordinato e continuativo (a progetto) in un Cpi. La Corte ha riconosciuto l’inadeguatezza della collaborazione coordinata e continuativa per soggetti che svolgono compiti «finalizzati all’erogazione dei servizi propri del centro» e che sono vincolati «al potete organizzativo del collega…che rappresenta il datore di lavoro». La sentenza riguarda un caso antecedente all’entrata in vigore del Jobs act del 2015 che ha reso ancora più stringenti i limiti di utilizzo della collaborazione, e quindi il ricorso a tale contratto oggi è ancora più problematico.
Il navigator “assunto” come “co.co.co” non dovrebbe, quindi, essere utilizzato per erogare i servizi propri del centro per l’impiego e non dovrebbe essere soggetto al potere direttivo e organizzativo dell’ente, ma dovrebbe agire come un consulente autonomo, svincolato da precise direttive.
Leggendo la riforma, sembra tuttavia che i navigator saranno operatori (seppure speciali) dei Cpi; se così fosse, si getterebbero le basi per un contenzioso molto pericoloso per le casse pubbliche.