La legge europea 2013 bis ha esteso da alcuni anni la piena applicabilità della procedura di mobilità per cessazione di attività anche ai dirigenti, così conformando il nostro ordinamento ai principi sanciti dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nella sentenza del 13 febbraio 2014, resa nella causa C-596/12.
Di conseguenza, come di recente chiarito dalla Corte di cassazione (sezione lavoro, 25 gennaio 2019, numero 2227 ) nell'ambito dei licenziamenti collettivi, oggi deve ritenersi obbligatoria la consultazione sindacale anche delle associazioni maggiormente rappresentative dei dirigenti. È invece insufficiente la notifica dell'avvio della procedura di licenziamento collettivo ai soli sindacati firmatari del contratto collettivo applicato ai dipendenti diversi da quelli che si trovano in posizione dirigenziale.
Con la pronuncia del 2014, la Cgue ha in particolare ritenuto che l'Italia fosse venuta meno agli obblighi su di essa gravanti in forza dell'articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 98/59/Ce scegliendo di escludere i dirigenti dall'ambito di applicazione della procedura prevista dall'articolo 2 della direttiva stessa, attraverso la previsione di cui all'articolo 4, comma 9, della legge numero 223/1991.
Proprio in ragione di tale decisione, il legislatore italiano, con la legge numero 161/2014 (cosiddetta Europea 2013 bis) ha quindi provveduto a modificare l'articolo 24 della legge numero 223/1991 al fine di armonizzare la normativa interna con quella europea, estendendo l'applicabilità della procedura di mobilità anche ai dirigenti, con una disposizione che per la Corte deve ritenersi «dichiaratamente integrativa e non di interpretazione autentica».
In merito all'identificazione dell'associazione di categoria con la quale concretamente interloquire (nel caso di specie individuata in Federmanager), la Cassazione ha poi specificato che la stessa va fatta tenendo conto della necessità che l'organizzazione sindacale riesca a porsi come interlocutrice stabile dell'imprenditore e che a tal fine occorre considerare che tale capacità è costituita, in via sintomatica, dalla stipulazione di un contratto collettivo le cui caratteristiche siano tali da attestare l'effettività dell'azione sindacale «per la rappresentanza di un arco di interessi più vasto di quello dei soli iscritti».
In definitiva, quindi, il datore di lavoro che intende porre in essere dei licenziamenti collettivi non può omettere di inviare la relativa comunicazione obbligatoria anche al sindacato maggiormente rappresentativo dei dirigenti, che può essere individuato facendo tesoro dei criteri di recente ricordati dalla Corte.