Non è necessaria l'esistenza di un collegamento societario preordinato in frode alla legge perché il rapporto di lavoro, formalmente intestato ad una sola società, possa essere ricondotto a svariati soggetti di impresa che, seppur indipendenti tra loro, hanno contemporaneamente utilizzato le prestazioni del lavoratore successivamente licenziato. Anche la semplice codatorialità, che si realizza quando uno stesso lavoratore presta la propria attività per l'impresa che lo ha assunto e, al tempo stesso, anche per altre imprese, seppur non collegate tra loro, comporta che tra di esse sussista un regime di solidarietà per le obbligazioni che nascono dal rapporto di lavoro.
La Cassazione ha espresso questo principio con sentenza n. 3899 dell'11 febbraio 2019, nella quale ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato ad una lavoratrice in maternità per cessazione dell'attività aziendale, sul presupposto che la contemporanea prestazione resa non solo per l'impresa cessata (formale datrice di lavoro), ma per altre due imprese indipendenti, comportava ex se la riconducibilità del rapporto in un contesto di codatorialità. Con la conseguenza, aggiunge la Cassazione, che le ragioni alla base del licenziamento andavano verificate rispetto a tutte le imprese che hanno beneficiato delle prestazioni della dipendente in maternità, con contestuale applicazione del più severo regime sanzionatorio di cui all'articolo 18, comma 1, dello Statuto dei lavoratori, il quale prevede la reintegrazione in servizio e il pagamento di tutte le mensilità dalla data del recesso datoriale a quella della effettiva riammissione sul posto di lavoro.
Sulla scorta di questo assunto, la Suprema Corte ha concluso che la cessazione dell'attività aziendale non poteva dirsi realizzata con riferimento alla lavoratrice licenziata durante il periodo di maternità, perché il solo datore di lavoro formale aveva interrotto la propria produzione, mentre le altre imprese nei cui confronti la lavoratrice aveva reso, durante gli stessi orari, le proprie mansioni, continuavano regolarmente ad operare.
Il concetto espresso dalla Cassazione è interessante perché scolpisce il principio per cui è perfettamente compatibile con l'ordinamento interno un rapporto di lavoro nel quale la figura del lavoratore è ricoperta da un'unica persona, mentre quella del datore è riconducibile a più soggetti diversi, senza che sia necessaria la prova di un collegamento societario.
A questo risultato si deve pervenire, secondo il ragionamento sviluppato dalla Cassazione, sulla base di una “concezione realistica” della figura del datore di lavoro, che non è tale solo perché ha in carico il contratto di lavoro con il dipendente, ma in quanto ha il controllo dell'organizzazione produttiva in cui la prestazione dei dipendenti è destinata ad inserirsi. Pertanto, se un medesimo lavoratore opera contemporaneamente a beneficio di svariati datori di lavoro, ciascuno di essi titolare di una distinta realtà di impresa, sulla base di modalità che impediscono di distinguere quale parte dell'attività sia stata svolta per uno piuttosto che per gli altri, si ha unicità del rapporto e tutte le imprese coinvolte devono considerarsi solidalmente responsabili.