La Cassazione, con sentenza n. 4672 depositata il 18 febbraio scorso , è tornata a pronunciarsi sulla legittimità del licenziamento per soppressione della posizione allorché essa sia ripristinata pochi mesi dopo il recesso aziendale.
La vicenda prende le mosse dal caso di una lavoratrice – ingegnere tecnico elettronico, specializzato in sistemi di misurazione, a capo dell'ufficio Compliance della subsidiary italiana di una multinazionale giapponese – operante come "Quadro" e addetta alla "metrologia". In particolare, la dipendente era stata licenziata per giustificato motivo oggettivo a causa della soppressione della posizione lavorativa ricoperta, dovuta all'abrogazione di una normativa in materia di controlli che aveva reso l'attività di controllo demandata alla stessa non più richiesta.
La dipendente aveva tempestivamente impugnato il licenziamento rilevando, tra le altre eccezioni, il fatto che la società resistente avesse ripristinato la posizione soppressa dopo soli 7 mesi dalla sua soppressione. I giudizi di merito concludevano entrambi con il rigetto delle doglianze avanzate dalla dipendente, ritenendo la soppressione effettiva ed il lasso di tempo trascorso dalla soppressione al ripristino idoneo a giustificare un mutamento organizzativo aziendale comportante il reinserimento in organico della funzione aziendale in precedenza soppressa.
Approdata in Cassazione, l'azione della lavoratrice non trovava destino diverso. Pronunciandosi sull'unico motivo di ricorso, con il quale la lavoratrice aveva lamentato l'erronea valutazione da parte dei giudici di merito circa la ripartizione e i criteri di assolvimento degli oneri probatori (con particolare riferimento a quelli in capo al datore di lavoro), la Cassazione riteneva ancora una volta infondate le rivendicazioni attoree. Sul punto, è interessante rilevare come sia stata posta una particolare attenzione riguardo all'arco temporale intercorso tra la soppressione e il ripristino della posizione detenuta dalla lavoratrice licenziata, confermando come esente da vizi la decisione delle corti di merito, che avevano ritenuto inidoneo ad inficiare la validità del licenziamento il periodo di sette mesi intercorso (similmente, sempre la Suprema Corte, con sentenza n. 11413 dell'11 maggio 2018, aveva ritenuto 8 mesi un arco temporale congruo). La Cassazione – pur non intendendo introdurre valutazioni di merito precluse in sede di giudizio di legittimità – ha colto l'occasione per riaffermare che ai fini della legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo è sufficiente che il datore di lavoro fornisca la prova che le ragioni inerenti l'attività produttiva, nonché l'organizzazione del lavoro, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata pozione lavorativa (inter alia, Cass. n. 25201/16; Cass. n. 10699/17 e Cass. n. 24882/17).